L’appuntamento con le urne del 3 novembre non ha chiamato i cittadini americani a votare solo per il nuovo presidente: si è infatti votato anche per il rinnovo completo della Camera dei rappresentanti e di 35 seggi del Senato, oltre che per l’elezione dei governatori di 11 stati.
La Camera dei rappresentanti rinnova la totalità dei suoi 435 membri ogni 2 anni: nelle elezioni di medio termine del 2018 la maggioranza era andata ai democratici, ribaltando il risultato che solo due anni prima aveva visto prevalere i repubblicani.
Il quadro che va delineandosi è quello di una confermata maggioranza democratica alla Camera: al momento risultano assegnati 209 seggi ai democratici e 190 ai repubblicani, ma saranno necessarie ancora alcune ore (se non giorni) per avere un’indicazione esatta del numero di seggi.
Situazione diversa e ancora in divenire per il Senato, dove la situazione pre-voto vede 53 senatori repubblicani e 47 democratici (tra cui gli indipendenti Angus King e Bernie Sanders). In questa tornata elettorale erano in lizza i seggi di 34 senatori della cosiddetta “Classe 2”, giunti al termine del proprio mandato di sei anni, oltre a quello della Georgia appartenuto a Johnny Isakson, che ha lasciato a dicembre 2019 per motivi di salute.
In attesa delle ultime chiamate da Alaska, North Carolina e Georgia (in questa tornata unico stato ad eleggere entrambi i suoi senatori), la possibilità di una maggioranza democratica in Senato appare molto ridotta. Sebbene i seggi assegnati siano 48 per entrambi i partiti, i repubblicani dovrebbero vincere agilmente l’Alaska, arrivando a quota 49. Rimangono la North Carolina (dove conduce lo spoglio il repubblicano Thom Tillis) e i due seggi della Georgia: in uno dei due bisognerà attendere il risultato del ballottaggio previsto per gennaio (proprio per il seggio che fu del senatore Hill) tra il democratico Raphael Warnock e la repubblicana Kelly Loeffler; nell’altro non è ancora chiaro se il repubblicano David Perdue vincerà oppure dovrà andare anche lui al ballottaggio (in questo caso con il democratico Jon Ossoff).
I democratici hanno dunque solo due vie per riuscire a ottenere la maggioranza al Senato, strappandola ai repubblicani:
- O vincono tutti e 3 i seggi in bilico o al ballottaggio, arrivando a 51 seggi su 100;
- O vincono 2 seggi su 3 tra Georgia e North Carolina ma anche le presidenziali, perché il vicepresidente degli Stati Uniti è anche di diritto presidente del Senato e può votare in caso di parità.
Parrebbe dunque allontanarsi il tentativo dei democratici di imporre una solida maggioranza al Congresso, che avrebbe permesso loro una maggiore manovrabilità e gestione degli affari politici. Non bisogna dimenticare che alcune decisioni sono in capo esclusivamente al Senato e non alla Camera: una su tutte, forse tra le più discusse nel dibattito pubblico delle ultime settimane, la ratifica delle nomine di giudici e funzionari federali. Potrebbe dunque farsi in salita l’ipotesi di ampliare il numero dei giudici della Corte suprema, come paventato da più parti in ambienti democratici per contrastare l’attuale maggioranza conservatrice della Corte.
In attesa di conoscere gli ultimi risultati, spicca il passaggio ai democratici di 2 seggi in Colorado e Arizona e la riconquista repubblicana del seggio in Alabama, seggio che nel 2017 Doug Jones aveva strappato ai repubblicani (il primo in quello stato dopo 25 anni).
Negli Stati Uniti sono anche stati eletti 11 governatori su 50: i democratici confermano Jay Inslee, John Carney e Ray Cooper rispettivamente negli stati di Washington, Delaware e North Carolina, ma perdono il Montana, dove Steve Bullock deve cedere lo scranno al repubblicano Greg Gianforte.
Nessuna sorpresa invece negli altri 7 stati, che registrano voti all’insegna della continuità repubblicana: si tratta di Indiana, Mississippi, Missouri, New Hampshire, North Dakota, Vermont e West Virginia.
Con questa elezione il numero di governatori repubblicani sale a 27, contro i 23 dei democratici.
Commenta