Lo scorso 3 novembre in America si è votato per le elezioni presidenziali. L’attenzione sulla sfida tra Joe Biden e Donald Trump ha fatto passare in secondo piano tutte quelle consultazioni secondarie su cui ogni quattro anni gli elettori statunitensi si trovano costretti a fare una scelta. Quest’anno negli Stati Uniti si sono infatti tenuti centinaia di referendum popolari e confermativi: da Miami a Denver, milioni di americani hanno votato per un nuovo salario minimo in Florida e per la restrizione dell’aborto dopo la ventiduesima settimana in Colorado. Ecco cosa ne è emerso, Stato per Stato.
L’America dice no a una nuova legge elettorale
In Alaska e Massachusetts due proposte di riforma del sistema elettorale sono state bocciate dagli elettori. In entrambi gli Stati le misure avrebbero introdotto il voto alternativo in tutte le consultazioni, nel caso dell’Alaska sostituendo addirittura il sistema di primarie aperte. Come abbiamo già spiegato in un precedente articolo, questa legge elettorale è già presente in Maine da due anni dopo l’approvazione sempre per via referendaria nel 2016. I cittadini del Last Frontier State e del Bay State hanno però bocciato i due quesiti referendari con risultati simili: 56-43 in Alaska e 55-44 in Massachusetts. Per gli attivisti che da anni cercano di imporre questo metodo in un numero sempre più crescente di Stati, si tratta di una pesante sconfitta che compromette un processo di rinnovamento del sistema elettorale americano molto popolare nell’opinione pubblica americana.
Decisivo il quorum in un’altra consultazione a sfondo elettorale in Florida, dove non sono bastati i voti per introdurre le cosiddette top-two primaries, primarie aperte a tutti con un ballottaggio previsto tra i due candidati più votati. Questo cambiamento avrebbe riguardato tutte le elezioni federali, statali e locali ed è già in vigore in alcuni Stati, tra cui California, Nebraska e Washington.
Tra etica ed economia
Diverse proposte invece nello Stato del Colorado, tra cui si segnalano la Proposition 113 che ha mantenuto lo Stato dentro il National Popular Vote Interstate Compact, un progetto per l’abolizione del collegio elettorale in favore del voto popolare, di cui fanno parte quindici Stati più il District of Columbia. La misura è stata approvata e quindi il Colorado rimarrà nel NPVIC. Ma il referendum più importante era quello sull’aborto: se fosse passato, nel Centennial State sarebbe diventato illegale abortire dalla ventiduesima settimana di gravidanza. La normativa statale è infatti una delle più liberali del Paese e non impone nessun limite di tempo per l’aborto, a meno che la vita della madre non sia in pericolo. Gli elettori hanno votato no per la sua introduzione.
Si è discusso di legalizzazione in cinque Stati: Arizona, Montana, New Jersey, Mississippi e South Dakota. In quattro di questi sono state rimosse tutte le limitazioni sull’uso a scopo ricreativo e terapeutico, mentre in Mississippi solo per l’uso terapeutico. La legalizzazione ha vinto con margini importanti anche negli Stati più conservatori come il South Dakota, dove i sì sono valsi il 53% dei voti totali.
In Oregon, dove la cannabis è già legale, gli elettori hanno confermato una legge che renderà legale la psilocibina, la sostanza di quelli che in gergo vengono chiamati “funghi magici”. Le norme sulle sostanze stupefacenti sono parecchio permissive negli Stati della West Coast. Inoltre, grazie a un altro referendum nel District of Columbia, è stata depenalizzata la psilocibina a partire da quest’anno.
Sempre in Florida è stato autorizzato un emendamento alla costituzione dello Stato con cui è stato aumentato il salario minimo orario, portato da $8,56 a $15: un risultato sorprendente alla luce dell’esito delle elezioni presidenziali, che in questo Stato hanno visto il repubblicano Donald Trump prevalere sul democratico Joe Biden, l’unico dei due ad aver inserito nel programma un aumento del salario minimo a livello federale.
Un “nuovo” nome per Rhode Island e il referendum più costoso di sempre
Decisione epocale nel piccolo Stato costiero del Rhode Island, che ha adottato un nuovo nome ufficiale. La dicitura completa infatti è sempre stata “State of Rhode Island and Providence Plantations”, un chiaro riferimento alle storiche piantagioni dei primi coloni in cui erano impiegati numerosi schiavi provenienti dalla tristemente nota tratta atlantica. La governatrice democratica Gina Raimondo aveva già emesso un ordine esecutivo a inizio 2020 per la transizione al nuovo nome, ma da oggi lo Stato si chiamerà definitivamente Rhode Island. I voti a favore sono stati il 53% mentre quelli contrari il 47%.
Infine, in California è finalmente giunto a una conclusione il contenzioso tra i colossi del car-sharing Uber e Lyft e i loro impiegati. Gli autisti delle due multinazionali avevano chiesto maggiori tutele salariali rifacendosi alla recente legge statale che offre enormi benefici contrattuali ai lavoratori dipendenti. Nonostante la promessa di abbandonare lo Stato qualora avessero perso, Uber e Lyft, insieme alle altre aziende leader della gig economy, hanno sì vinto questa battaglia, ma spendendo l’impressionante cifra di duecentoventi milioni di dollari soltanto in pubblicità.
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