Se a qualcuno è venuto in mente di commentare e prevedere l’esito delle presidenziali americane a metà dello spoglio durante la notte del 3 novembre scorso, si può dire che questa non sia stata una buona idea. C’è effettivamente stato il red mirage, cioè una colorazione di rosso della mappa elettorale negli stati più in bilico: questo “miraggio rosso” è però durato solo alcune ore tra martedì e mercoledì, prima del decisivo sorpasso di Joe Biden su Donald Trump nello stato chiave del Wisconsin (a cui poi è seguito il Michigan). Ad assegnare la vittoria finale all’ex vicepresidente è stata però la Pennsylvania, dove si è materializzata una rimonta durata più giorni e dove tuttavia i sondaggi si attendevano un successo di Biden.
I sondaggi nazionali
Prima di analizzare i sondaggi nazionali sulle elezioni americane del 2020 occorre fare una premessa: il dato su base nazionale è spesso indicativo di come andrà un’elezione negli Stati Uniti. Essendo però il sistema elettorale statunitense imperniato su uno schema maggioritario per stato che non premia la proporzionalità, il voto popolare non è una discriminante quanto lo sono invece i grandi elettori. Nel 2016, per esempio, Hillary Clinton perse ricevendo quasi tre milioni di voti in più di Donald Trump.
Quest’anno Joe Biden è rimasto davanti nei sondaggi nazionali senza troppe oscillazioni dall’inizio alla fine: nel confronto con l’ex First Lady, infatti, appare subito evidente come il margine fosse maggiormente stabile rispetto a quattro anni fa.
La vittoria dell’ex vicepresidente era stata quindi ampiamente pronosticata da un vantaggio solido nelle rilevazioni nazionali. Nonostante il risultato previsto dalla maggior parte dei sondaggi si sia rivelato di qualche punto superiore rispetto al dato reale (i numeri definitivi arriveranno a scrutinio concluso), le probabilità che Trump riuscisse a spuntarla nel collegio elettorale perdendo il voto popolare oltre un certo livello erano quasi nulle, come ha spiegato Nate Silver qualche mese prima delle elezioni.
L’affluenza storica (la più alta dal 1900) è stata un fattore di difficile interpretazione: gli elettori democratici sono aumentati sensibilmente, preferendo il voto postale, ma anche i sostenitori di Trump si sono presentati numerosi ai seggi, dominando nel voto di persona all’election day. Come abbiamo spiegato nella nostra analisi sulle contee chiave, Biden ha sottratto al suo predecessore elettori cruciali per la vittoria, in particolare i bianchi residenti nei sobborghi, che hanno partecipato con percentuali tutt’altro che basse ai sondaggi nazionali per evitare di sottostimarli.
La situazione negli Stati
I sondaggi statali nel 2016 rappresentarono per molti, dopo l’esito abbastanza inaspettato delle elezioni, un punto di non ritorno: parecchi istituti, soprattutto quelli meno prestigiosi, smisero di pubblicarli; altri, come Gallup, decisero di spostare i loro interessi sulle indagini tematiche, interrompendo una settantennale tradizione di rilevazioni sulle intenzioni di voto. Le aspettative quest’anno erano molto più alte perché si pensava, a ragione, che i difetti strutturali dell’ultima volta fossero stati corretti: ecco dunque com’è andata nei principali stati chiave.
L’errore stavolta è stato meno generalizzato: nel Midwest – Wisconsin e Iowa a parte – non c’è stato lo stesso crollo del 2016, mentre nel sud-est quasi tutti i sondaggi erano dentro il margine d’errore e nel sud-ovest è andata molto meglio che in passato. La ripartizione geografica aiuta a capire come votano alcuni stati: la demografia è infatti una delle variabili fondamentali di un sondaggio. Per questo motivo, nelle regioni dove vivono più elettori bianchi non laureati, come il Midwest, è complesso equilibrare il peso elettorale dei primi con quello dei bianchi laureati.
Joe Biden è riuscito a prevalere su Donald Trump in Pennsylvania grazie alle incursioni tra gli elettori bianchi laureati e non laureati dei suburbs. Il voto delle contee rurali è stato comunque sottovalutato e Trump è stato in grado di condurre per buona parte dello scrutinio.
Un discorso a parte meritano le minoranze, che mai come quest’anno si sono mostrate tutt’altro che un monolite. In Texas, per esempio, a Biden non è bastato guadagnare consensi nelle grandi città e – al netto di un’affluenza medio-bassa nelle contee meridionali – Trump ha recuperato sensibilmente tra gli ispanici. Il Partito Democratico era convinto di poter ripetere, se non addirittura migliorare, la prestazione del 2018 di Beto O’Rourke, l’ex deputato che perse una combattutissima elezione per il Senato contro l’uscente Ted Cruz. Il candidato democratico sembrava galvanizzato dai sondaggi che prospettavano un testa a testa, al punto da organizzare eventi con Kamala Harris nel Lone Star State nell’ultima settimana prima del voto: una scommessa che però il ticket democratico ha perso.
I latinos sono stati determinanti in Florida, dove i democratici hanno perso ben 22 punti nella sola contea di Miami-Dade (la più popolosa) a causa del massiccio sostegno degli immigrati cubani per il presidente uscente: Biden ha sì riconquistato suffragi tra i bianchi anziani, come ormai segnalavano da mesi i sondaggi, ma è letteralmente crollato tra gli ispanici, che hanno permesso a Trump di confermarsi in uno degli swing states per antonomasia.
Un bilancio complessivo
In attesa di un quadro chiaro e definito, si possono se non altro trarre delle conclusioni significative. A giudicare dai risultati nel Midwest, l’errore nei sondaggi sembra sia stato nuovamente unidirezionale: i democratici sono stati sovrastimati nella regione dei Grandi Laghi esattamente come quattro anni fa. L’errore parrebbe quindi circoscrivibile a quest’area decisiva per le elezioni, con delle fluttuazioni fisse e costanti piuttosto che aleatorie.
Non bisogna però dimenticare che l’intervallo di confidenza, ovvero il grado di fiducia nel fatto che il sondaggio possa contenere effettivamente il parametro di interesse, è corretto il 95% delle volte. I sondaggisti americani dovranno sicuramente lavorare ancora sulla metodologia, ma col tempo hanno dimostrato di imparare dagli sbagli e non c’è motivo di pensare che dopo aver riscontrato le medesime difficoltà del 2016 non prenderanno provvedimenti.
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