“Penso che voi lo sappiate: se 70.000 voti fossero andati diversamente in Pennsylvania, Wisconsin e Michigan, si sarebbe scritta una storia molto diversa.”
John Podesta, manager della campagna presidenziale di Hillary Clinton nel 2016, pronunciò queste parole in un’intervista a Politico. Cosa intendeva dire? Nei tre stati da lui menzionati, Trump 4 anni fa superò l’ex first lady con uno scarto di poche decine di migliaia di voti. Tuttavia, se questa minima parte dei voti andati a Trump in questi tre stati fosse invece andata a Hillary Clinton, quest’ultima avrebbe ottenuto i 46 grandi elettori che essi mettevano in palio, ribaltando la bilancia a suo favore e sconfiggendo il ticket repubblicano.
Trump, in ciascuno di questi tre Stati, nel 2016 vinse nel voto popolare con un distacco inferiore al punto percentuale rispetto a Hillary Clinton: superò la candidata democratica in Michigan, Pennsylvania e Wisconsin con, rispettivamente, lo 0,2%, lo 0,7% e lo 0,8% dei voti, ottenendo così tutti i 46 grandi elettori messi in palio da questi tre Stati e superando quindi ampiamente, con 306 grandi elettori sulla carta, il “numero magico” di 270 necessario per diventare il nuovo inquilino della Casa Bianca.
Insomma, furono questi 3 stati a determinare, un po’ inaspettatamente, il trionfo di Trump 4 anni fa. Inaspettatamente perché le previsioni davano Clinton in vantaggio in questi tre stati: le ultime medie RCP dei sondaggi pre-voto attribuivano infatti alla candidata democratica un vantaggio del 3,4% in Michigan, del 2,1% in Pennsylvania e addirittura del 6,5% in Wisconsin. Ma, fatto ancora più importante, questi stati erano parte del blue wall, cioè dell’insieme di quegli stati che dal 1992 – e quindi con le presidenze Clinton, Bush e Obama – erano stati sempre vinti dai democratici. Questo “muro blu” risultava composto dai tre stati sul Pacifico (California, Oregon e Washington), dalle Hawaii, dal Nord-Est (tranne il New Hampshire) e da alcuni stati del Midwest.
Ora facciamo due salti nel tempo: uno indietro e uno in avanti.
Per capire perché l’area geografica denominata Midwest è così importante dobbiamo fare un piccolo viaggio nella storia degli Stati Uniti e precisare sin da subito una questione fondamentale: qui sorge quello che è considerato l’heartland, il cuore del Paese. Benché notoriamente evoluzione delle 13 colonie britanniche, il ceppo dominante di quest’area è tedesco, non inglese: nella macroarea che dalla Pennsylvania si distende fino alle riserve indiane di North e South Dakota, infatti, la percentuale di cittadini di origine tedesca va dal 25% a oltre il 40%. Essi arrivarono a partire dalla metà dell’800 e hanno avuto una scarsissima mobilità interna: il loro è considerato un comportamento paradigmatico da un punto di vista elettorale, perché per vincere la Presidenza si deve innanzitutto vincere nella maggior parte degli Stati del Midwest.
Qui sorge anche un’area più ristretta, nota come Rust Belt, “cintura della ruggine”, che è l’anima industriale e operaia degli Stati Uniti: proprio la chiusura di molte fabbriche in quest’area e la perdita di moltissimi posti di lavoro è stata considerata alla base della sconfitta di Hillary Clinton nel 2016. Analizzare il voto in quest’area del Paese, dunque, non vuol dire solo occuparsi di numeri, ma significa provare a capire, innanzitutto, qual è il rapporto dei rispettivi partiti con una delle principali basi elettorali, nonché prevalente ceppo etnico nel Paese.
Adesso facciamo il secondo salto nel tempo, in avanti di 4 anni rispetto al 2016: la vittoria di Biden sarebbe inevitabilmente dovuta passare per una reconquista in tutto o in parte di questi stati. Alla fine il candidato democratico li ha vinti tutti e 3, e anzi è stata proprio la vittoria in Pennsylvania a consentire a Biden di superare la soglia dei 270 grandi elettori e a indurre quindi i network a “chiamare” la sua vittoria. Di primo impatto, dunque, verrebbe da dire che Biden ha ricostruito il blue wall, avendo trionfato in Michigan, Pennsylvania e Wisconsin. Ma a un’analisi più approfondita scopriamo che la situazione è più complessa di così.
Innanzitutto, i numeri: a parte il Michigan, il vantaggio di Biden in Pennsylvania e Wisconsin è molto ridotto, inferiore al punto percentuale. Margini dunque molto ristretti, proprio come nel 2016 (anche se 4 anni fa, per l’appunto, i vantaggi in questi stati furono a favore di Trump).
Ma andiamo a vedere la situazione in ciascuno dei 3 stati, con l’aiuto delle mappe del New York Times.
Partiamo dal Michigan: stato simbolo della sconfitta di Hillary Clinton nel 2016, qui nacque, si sviluppò e arrivò al declino l’industria dell’automobile. La sua città principale, Detroit, dichiarò bancarotta nel 2013; inoltre è in Michigan che sorge Flint, città emblema del degrado e della decadenza a causa della crisi idrica che portò acqua avvelenata nelle case dei suoi residenti.
Qui la vittoria di Biden è dovuta sia alla poderosa affluenza nella stessa Detroit e nei suoi sobborghi, dove i Dem hanno ottenuto percentuali che non è eufemistico definire bulgare (68% nella Wayne County, 72,4 % nella Washtenaw County), sia a recuperi in aree rurali abitate prevalentemente da bianchi che votarono Trump nel 2016 (Kent, Ottawa, Antrim, Emmet). Nel complesso, Biden ha confermato le contee vinte da Hillary Clinton e ha accresciuto i voti democratici in due terzi delle contee che nel 2016 avevano votato per il Presidente uscente.
In Pennsylvania la situazione è un po’ diversa. Biden ha guadagnato voti rispetto a Hillary Clinton soprattutto nella zona est dello stato, come mostra la mappa sottostante. Ma la vera chiave di volta è stata nelle aree urbane di Philadelphia e Pittsburgh e, soprattutto, nei relativi “suburbs”, le aree residenziali ai margini delle metropoli. Nonostante la vittoria di Biden, comunque, i dati ci dicono che le tendenze del 2016 non si sono arrestate: al contrario, è proseguito quel trend che ha consentito a Trump di vincere quattro anni fa. In estrema sintesi, più le contee sono nelle aree urbane, abitate da neri e da bianchi benestanti, più votano democratico; più sono rurali e abitate da bianchi poco istruiti, più votano repubblicano. Ma è importante notare come anche la contea di Philadelphia, dove Biden ha riportato un risultato imponente, ha visto un aumento del voto per Trump del 4,3 % rispetto al 2016.
Non dissimile la situazione del Wisconsin. Qui ci sono stati spostamenti significativi nelle contee urbane e nei suburbs, mentre Trump ha non solo “tenuto” nelle contee rurali del nord e dell’ovest ma, in alcuni casi, ha incrementato il suo vantaggio rispetto al 2016. Paradigmatica sembra essere la contea di Juneau, che Obama vinse del 9% nel 2008 e del 7% nel 2012: qui Trump si impose di 26 punti nel 2016 e ha ampliato il suo margine a 29 punti percentuali nel 2020. In Wisconsin, la chiave di volta è stata l’imponente spostamento a sinistra registrato soprattutto nelle aree di Madison e Milwaukee: in questo modo è stato possibile per i Dem riconquistare uno degli Stati con il maggior numero di elettori bianchi e senza laurea del Paese.
In conclusione, la riconquista di questi tre fondamentali Stati non implica necessariamente una nuova e nuovamente definitiva imposizione dei democratici nel blue wall. Le aree più sofferenti e più lontane dai grandi centri abitati sembrano essere ancora saldamente repubblicane e per il partito di Biden non sarà facile mantenerle puntando tutto sulle aree urbane. D’altro canto, anche se Biden non ha avuto la maggioranza del voto degli elettori bianchi, tra questo gruppo – specie in Michigan – ha recuperato consensi rispetto a quanto raccolto nel 2016 da Hillary Clinton.
La sfida per i democratici sarà dunque quella di cercare di consolidare il proprio consenso in un’area degli Stati Uniti che, oggi come 4 anni fa, si è rivelata decisiva per le presidenziali.
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