Il 2020 è stato l’anno più difficile per la Lega di Matteo Salvini, da quando quest’ultimo ne è segretario. Il partito resta costantemente la prima forza del Paese nei sondaggi, seppur con un margine molto meno rassicurante rispetto a un anno fa: a gennaio la Lega era stimata dai sondaggi stabilmente oltre il 30% (30,8% secondo la Supermedia YouTrend), mentre a dicembre si piazza al di sotto del 24%, dopo un anno di continua discesa, frenata solo negli ultimi mesi. In un anno la Lega ha perso quindi 13 punti di vantaggio rispetto a Fratelli d’Italia e 8 rispetto al Partito Democratico.
Ma ciò che fotografa meglio le difficoltà del leader leghista è la minore centralità della sua figura nel panorama politico italiano e nel centrodestra: il calo della Lega va infatti di pari passo con la crescita di Fratelli d’Italia e del gradimento verso Giorgia Meloni, ormai in grado di contendere a Salvini la guida del centrodestra. Molti fattori hanno contribuito ad appannare l’immagine della Lega e del suo leader, dalle sconfitte elettorali all’approccio (effettivo e comunicativo) nei confronti della pandemia.
L’inizio di tutto: l’Emilia-Romagna
L’origine dei problemi della Lega in questo 2020 si può identificare facilmente nella sconfitta elettorale alle elezioni regionali in Emilia-Romagna, e non solo perché essa risale proprio a gennaio. Matteo Salvini investe molto del proprio capitale politico in questa sfida, sperando che una vittoria della senatrice leghista Lucia Borgonzoni provochi la caduta del governo giallo-rosso e dia la possibilità al centrodestra di tornare al Governo, magari attraverso un passaggio elettorale che in quel momento sembrava avere un esito scontato. Del resto, c’è chi ha parlato delle regionali in Emilia-Romagna come di un vero e proprio referendum su Matteo Salvini.
La scommessa si rivela persa quando la sera del 26 gennaio Lucia Borgonzoni resta 8 punti dietro al candidato del centrosinistra Stefano Bonaccini: un abisso rispetto alle previsioni e agli ultimi risultati delle politiche e delle europee nella Regione. Il fatto che la Lega sia abbondantemente il primo partito nel centrodestra e che prenda contemporaneamente il 12% in Calabria (praticamente quanto Forza Italia, che esprimeva la candidata presidente) è una magra consolazione. La spallata al Governo è fallita e con l’emergenza Covid che sta per iniziare non ce ne saranno altre per un po’.
Da qui si accentua il vero calo della Lega nei sondaggi: il partito tocca il suo massimo del 2020 a inizio febbraio, pochi giorni dopo le elezioni, ma da lì è una discesa continua e costante, sulla quale influiscono più fattori, dalle ripercussioni delle sconfitte elettorali alla crisi del Coronavirus.
Pochi giorni dopo le elezioni, inoltre, il Senato vota a favore della richiesta di autorizzazione a procedere contro Matteo Salvini, accusato di sequestro di persona per il mancato sbarco della nave militare Gregoretti. Tutto questo si ripeterà a luglio per il caso Open Arms.
Il coronavirus travolge la Giunta lombarda
Dal 20 febbraio, quando vengono accertati i primi casi di italiani positivi al coronavirus a Codogno, tutto il resto passa in secondo piano. Salgono alla ribalta i Presidenti di Regione come Luca Zaia, che sulla gestione dell’emergenza sanitaria ha costruito le fondamenta per il clamoroso risultato elettorale di settembre.
Viene invece travolta la Lombardia, divenuta simbolo dell’emergenza sanitaria in Occidente, e sulle prime pagine dei giornali si trovano sempre più spesso le foto della Giunta di centrodestra, in particolare del Presidente Attilio Fontana (Lega) e dell’Assessore al Welfare Giulio Gallera (Forza Italia), che diventano i volti simbolo del fallimento lombardo nella gestione della pandemia. Un motivo di forte imbarazzo per la Lega, dato che la Lombardia non è solo la Regione più importante governata dal Carroccio, ma è spesso stata citata come modello dagli amministratori leghisti, soprattutto in fatto di sanità.
Le vicende in questione sono oggetto anche di diverse inchieste della magistratura, da quelle volte ad accertare le responsabilità nella gestione della pandemia, e quindi il mancato lockdown della Val Seriana e l’inadeguata protezione degli anziani nelle RSA, fino a quella sul tentativo della Regione Lombardia di acquistare una fornitura di camici da un’azienda del cognato del Presidente Fontana (poi tramutata in donazione per evitare conflitti di interessi).
Salvini alle prese col coronavirus
Anche Matteo Salvini inciampa sull’approccio nei confronti della pandemia, con messaggi spesso contraddittori e poco in linea con quello che, sondaggi alla mano, è il sentire dell’elettorato. Se quasi tutti i politici in una prima fase hanno sottovalutato l’emergenza e sono stati protagonisti di cambi d’opinione repentini, per un leader come Salvini, sempre molto presente e netto nelle opinioni espresse, questi errori hanno pesato più che per altri. Inoltre, l’utilizzo della pandemia per attaccare il governo anche sulla gestione degli sbarchi dal Nord Africa, in un momento caratterizzato da una forte solidarietà istituzionale, ha contribuito al calo della Lega, che nel periodo del lockdown primaverile ha perso oltre 3 punti nella Supermedia.
La Lega, come tutto il centrodestra, rappresenta durante la fase della pandemia la voce delle imprese e del settore produttivo, spingendo – con poche eccezioni in alcuni momenti – per l’alleggerimento dei divieti e per lo stanziamento di maggiori risorse a sostegno di lavoratori e imprese colpiti dalla crisi. L’opposizione alle limitazioni imposte sfocia spesso in un messaggio che sottovaluta la pericolosità del virus, soprattutto dopo il primo lockdown, in corrispondenza della forte riduzione dei contagi durante l’estate. In questo periodo Matteo Salvini convoca e partecipa ad eventi di massa, si fa fotografare senza mascherina vicino ai sostenitori e partecipa anche ad un convegno di “negazionisti” in Senato, dove rifiuta di indossare la mascherina.
La vittoria plebiscitaria di Zaia
Le elezioni regionali del 20 e del 21 settembre sono state un passaggio fatto di luci ed ombre per la Lega, trionfatrice in Veneto e sconfitta in Toscana. Luca Zaia, dato già come grande favorito in Veneto prima dell’esplosione della pandemia, è arrivato alla campagna elettorale forte dell’ottima gestione della pandemia e alle urne non ha deluso le aspettative, vincendo con il 76,8% dei voti: si tratta della percentuale più alta mai raggiunta da un candidato in un’elezione regionale, da quando nel 1995 è stata introdotta l’elezione diretta del Presidente.
Nonostante Zaia abbia sempre negato di ambire alla leadership nazionale, il trionfo del governatore del Veneto ha riacceso il dibattito sul ruolo di guida della Lega, ma soprattutto sulla sua anima. Zaia e Salvini rappresentano infatti due visioni diverse del partito: la Lega federalista contro la Lega nazionalista, la Lega del Nord conto la Lega nazionale, la leadership moderata contro il populismo di destra, la Lega degli amministratori contro la Lega del leader carismatico.
A dimostrare la forza di Zaia in Veneto è stato anche il confronto fra la lista della Lega e quella a sostegno del Presidente, con la seconda che ha vinto abbondantemente la sfida interna col 44,6% (contro il 16,9% della Lega). Pochi giorni prima del voto, inoltre, il commissario della Lega veneta Lorenzo Fontana aveva inviato una lettera ai segretari locali del partito per invitare tutti a sostenere solo la lista delle Lega, a discapito di quella del Presidente: un episodio che ha fatto discutere ed ha fatto emergere chiaramente che l’esito del confronto fra le liste non lasciava indifferenti i vertici della Lega.
Il secondo assalto mancato alle roccaforti rosse
Se la vittoria in Veneto era scontata, il tentativo di spodestare il centrosinistra dalla Toscana si è rivelato complicato come previsto. Il fatto stesso che, oltre al Veneto, alla Lega sia stata concessa solo la Toscana è stato letto come un segnale della perdita di centralità di Matteo Salvini all’interno della coalizione.
L’eurodeputata leghista Susanna Ceccardi, che cinque anni prima era diventata sindaca di Cascina e per questo rappresentava il volto della Lega capace di espugnare le aree tradizionalmente rosse, ha inoltre deciso di limitare molto la presenza di Matteo Salvini in campagna elettorale, memore della campagna di Lucia Borgonzoni in Emilia-Romagna, dove l’onnipresente segretario aveva oscurato la vera candidata. Il tentativo non è stato però sufficiente per ribaltare il pronostico, nonostante i sondaggi delle ultime settimane considerassero la sfida molto incerta: alla fine, il candidato del centrosinistra Eugenio Giani ha infatti vinto con 8 punti di vantaggio – un déjà-vu del risultato di gennaio in Emilia-Romagna.
La presenza di una candidata leghista non è bastata neanche per frenare il travaso di voti dalla Lega a Fratelli d’Italia: se alle europee di un anno prima il partito di Salvini aveva eclissato gli alleati prendendo in Toscana quasi 26 punti in più rispetto a FdI (31,5% a 5,8%), questa volta il vantaggio sulla forza politica guidata da Giorgia Meloni è stato di appena 8 punti.
I decreti Salvini e i nuovi arrivi da Forza Italia
A novembre, nonostante il non facile momento della Lega, il gruppo parlamentare della Camera si rafforza con tre innesti da Forza Italia (tra cui quello di Laura Ravetto): fra i motivi citati, ci sarebbe l’avvicinamento di Berlusconi al Governo Conte. Il 18 dicembre, infine, il Parlamento approva il decreto che cancella parzialmente i decreti Salvini in fatto di immigrazione e sicurezza, dopo due giorni di sedute molto tese in Senato: un atto simbolicamente forte, data l’importanza che questi provvedimenti avevano avuto per la Lega.
Ora non resta che aspettare il 2021 per capire come evolverà il consenso verso il Carroccio: continuerà a calare o tornerà a crescere? Gli occhi sono puntati sulla prossime sfide elettorali del nostro Paese, dalle elezioni anticipate in Calabria del 14 febbraio alle amministrative in oltre 1.200 comuni in primavera.
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