“Siamo diventati una nazione di 66 milioni di procuratori”: così polemizza Emmanuel Macron, il 21 gennaio 2021, di fronte alla platea del nuovo polo universitario tecnico-scientifico di Paris Saclay, venti chilometri a sud della capitale. Interrogato sulla gestione della pandemia e sul ritardo nelle vaccinazioni, il presidente francese difende il suo esecutivo, continuando nel braccio di ferro con l’opinione pubblica.
Con oltre 3 milioni di casi registrati e una media giornaliera di 22.000 nuovi positivi, la situazione oltralpe è tesa. Senza contare il ritardo nelle vaccinazioni accumulato dalla Francia rispetto ai vicini europei: ad oggi, poco più di un milione di persone ha ottenuto la prima dose dei vaccini Pfizer e Moderna, di cui in Francia sono arrivate rispettivamente 1.878.000 e 51.000 dosi. Il ministro della salute Olivier Véran ha comunque rassicurato i francesi: entro l’estate saranno almeno 15 milioni i cittadini vaccinati.
La strategia francese contro il COVID-19
La Francia è ufficialmente in stato di emergenza sanitaria dal 23 marzo 2020. Rinnovato il 17 ottobre, l’esecutivo sembra volerlo prolungare almeno fino al 1° giugno 2021. Agli occhi di molti, comunque, la Francia ha adottato una strategia più soft: le scuole sono rimaste aperte, gli spostamenti tra le regioni permessi e, fino al 14 gennaio, non c’è stato alcun obbligo di test per i viaggiatori in entrata.
Quali sono allora le misure adottate da Parigi finora? Su tutto il territorio nazionale vige il coprifuoco dalle ore 18 alle ore 6 del mattino seguente. Senza autocertificazione, la legge prevede una multa da 135€ e fino a 3.750€, in caso di recidiva. Benché i mezzi pubblici funzionino regolarmente ovunque, lo smart working (télétravail) è incoraggiato, e a questo proposito le parole del ministro dell’economia Bruno Le Maire sono chiare: «tutti coloro che possono lavorare da casa, devono farlo cinque giorni su cinque». Il successo o meno del lavoro a distanza, però, dipende dalla struttura economica di ogni regione: nell’Île-de-France, la regione della capitale, il dato raggiunge il 41% della popolazione attiva, ma scende all’11% nella vicina Normandia. Le attività culturali sono sospese; i musei, i teatri e i cinema restano chiusi, così come bar, discoteche e ristoranti. Il governo ha inoltre escluso l’apertura degli impianti sciistici prima di metà febbraio.
Rispetto all’Italia e agli altri paesi europei, in ogni caso, la maggiore differenza riguarda la didattica: la presenza degli alunni negli istituti scolastici è sempre stata una priorità. In questo modo, il governo fornisce alle regioni e ai comuni, da cui dipendono licei e scuole primarie, uno strumento contro l’abbandono scolastico, in particolare per quegli alunni provenienti da contesti socio-familiari difficili. Solo 64 istituti sono attualmente chiusi causa Covid, meno dell’1% del totale.
La Francia è anche il principale Paese europeo ad aver chiuso le scuole per il periodo più breve, appena 41 giorni, corrispondenti al primo lockdown: una scelta condivisa dai più, ma contestata dai diretti interessati nei licei. Durante tutto il mese di dicembre gli studenti hanno occupato e bloccato gli istituti, denunciando un protocollo sanitario insufficiente.
Tutte le difficoltà del presidente, dalle municipali di marzo ad oggi
Il mese di dicembre è stato particolarmente duro per l’esecutivo, anche a causa della nuova legge sulla sicurezza interna proposta dal ministro Gérald Darmanin. Il dato interessante, però, è il tasso di popolarità del presidente: a 15 mesi dalle prossime elezioni, il più giovane Capo di Stato della storia della République gode di buona fiducia.
Una media di dodici sondaggi pubblicati dal quotidiano JDD indica per Macron un consenso attorno al 39%. Certo, questo valore sorprende, soprattutto se confrontato a Donald Trump, che lascia l’incarico di presidente degli Stati Uniti al 38%, un dato incredibilmente basso. Ma in Francia è un dato comunque positivo: nello stesso periodo Hollande aveva una popolarità del 27%, Sarkozy del 33%.
Per Macron si tratta di un consenso non scontato, soprattutto dopo la sconfitta alle elezioni municipali di marzo 2020. Il tasso di astensione record pari al 58,4% al secondo turno, tenutosi tre mesi dopo, non ha impedito di designare vincitori e sconfitti.
Fra tutti, i Verdi di Yannick Jadot hanno registrato il miglior risultato, con un boom nelle grandi città, da Bordeaux a Strasburgo passando per Lione. Sul fronte opposto, l’estrema destra ha registrato un calo: Perpignano, città vicina al confine con la Spagna, è stato l’unico comune con almeno 100.000 abitanti vinto da un candidato del partito di Marine Le Pen.
Da questo quadro emerge un grande sconfitto: Macron. La sua lista LREM ha vinto, da sola, in appena 9 dei 34.970 comuni francesi. Nello specifico, è a Parigi che la campagna è stata disastrosa: spaccature interne e scandali hanno affossato il partito del presidente, la cui candidata Agnès Buzyn ha trionfato in uno solo dei venti arrondissements.
Le violenze al centro dei dibattiti
Guardando alla top 10 degli hashtag su Twitter del 2020, subito dopo le elezioni municipali troviamo la brutalità della polizia. Il video virale del pestaggio da parte di tre agenti del produttore discografico parigino Michel Zekler ha riportato al centro del dibattito pubblico la questione spinosa della violenza della polizia. Negli ultimi anni, in effetti, molti decessi sono avvenuti durante dei controlli da parte delle forze dell’ordine: emblematici sono i casi di Adama Traoré e Cédric Chouviat, di cui le dinamiche della morte sono ancora da chiarire. La controversa proposta di legge sulla sicurezza nazionale, che di fatto impedisce la registrazione e la diffusione di immagini della polizia in azione, non ha fatto che versare benzina sul fuoco del malcontento dell’opinione pubblica: la Francia è stata infatti teatro, nelle ultime settimane, di numerose manifestazioni, spesso culminate in violenti scontri con le forze dell’ordine.
Le presidenziali dietro l’angolo
Nel frattempo, a poco più di un anno dalle prossime elezioni presidenziali, le varie forze politiche si organizzano. In un’inedita intervista rilasciata al media giovanile Brut, il presidente uscente si è mostrato vago su una possibile ricandidatura: una mossa studiata e che ha destato sorpresa. A parte Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon, rispettivamente a destra e sinistra dello spettro politico, gli altri grandi partiti restano comunque in attesa. Certo, qualcosa lontano dai riflettori sembra iniziare a muoversi: la sindaca socialista di Parigi Anne Hidalgo ha infatti cominciato a tessere le fila per una lista a sinistra, anche se manca ancora l’ufficialità della sua candidatura.
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