Quando Galileo affermava che il linguaggio della natura è un linguaggio matematico, intendeva usare evidentemente una metafora: la natura non fa equazioni. Siamo noi a comprenderla nella misura in cui siamo in grado di afferrarne le leggi e rappresentarle in termini matematici, di contenerla nella matematica. Allo stesso modo, le piattaforme digitali non si limitano ad ospitare contenuti, ma organizzano l’esperienza con la quale li offrono agli utenti in ragione degli algoritmi che li correlano e delle funzionalità che determinano il linguaggio che vi prevale.
Il fatto che i leader politici non siano presenti su TikTok nonostante i numeri che raggiunge (oltre 5 milioni di utenti in Italia) non dipende solo dall’età degli iscritti (7 su 10 hanno meno di 24 anni), ma anche dalle caratteristiche intrinseche alla piattaforma: ogni video, ad esempio, può essere oggetto di Duets o Stitch (format basati sul controcanto continuo), oppure di interventi satirici o di smentite. Al contempo, se l’algoritmo di Facebook favorisce la visibilità di un post in base a reazioni e commenti e racchiude in bolle l’esperienza di navigazione per via della consuetudine a interagire con gruppi e pagine, il successo di TikTok è dato da una rappresentazione più granulare dei contenuti, per via di un algoritmo che suggerisce i video non solo sulla base dell’engagement ricevuto, ma anche del tipo di dispositivo che si possiede, di testi ed hashtag presenti nei video, delle tipologie di audio adottati.
Se lo staff di Giorgia Meloni ha ritenuto opportuno, dopo alcuni video caricati nel 2019 sull’onda del successo del remix “Io sono Giorgia”, non proseguire l’esperimento, è anche perché i contenuti della sua comunicazione sono improntati alla cronaca e alla politica. Inoltre, i formati grafici e video che adotta su Facebook o Instagram mal si prestano alle caratteristiche di TikTok, tanto sul piano del metodo che del merito.
Lo stesso account di Matteo Salvini, con 385 mila follower e un engagement rate del 5,3%, da un lato mette in evidenza quanto sia difficile ricevere il livello di sostegno nei commenti tipico dei profili social più tradizionali, ma dall’altro mostra una crescita di 135 mila nuovi follower da inizio luglio (fonte: Notjustanalytics). Questo ripaga il cambiamento di linea editoriale che, nel corso del tempo, ha fatto prevalere la leggerezza e la quotidianità rispetto alla politica. Un’attività di posizionamento, dunque, con incursioni puntuali nell’attualità come nel caso degli attacchi all’ex ministro dell’istruzione Lucia Azzolina con video che, non a caso, risultano i più visti: oltre 2,1 milioni di visualizzazioni in un video dello scorso ottobre di attacco alla gestione della DAD.
Il rischio che l’apertura di un profilo e la conduzione di un piano editoriale sfuggano di mano allo staff e prendano una deriva indipendente e non fruttuosa è ciò che ha vissuto il politico americano Pete Buttigieg, che si era presentato come “Mayor Pete” per la sua carica di sindaco di South Bend, ma che è stato presto ridenominato “Mayo Pete”, perché è bianco come la maionese e la viralità di questo messaggio ha ulteriormente allontanato la politica americana da TikTok durante l’ultima campagna elettorale.
Questo non significa che le caratteristiche di leggerezza dei contenuti che prevalgono non impediscano l’esistenza di forme di attivismo politico rilevanti sia in Italia che all’estero. Del resto, è a tutti noto il fatto che su TikTok si sia organizzato il movimento che lo scorso anno ha sabotato il comizio di Donald Trump di Tulsa, in cui le tante prenotazioni effettuate erano risultate fittizie, così da lasciare lo stadio vuoto a vantaggio delle impietose telecamere.
Se lo scorso ottobre, dunque, TikTok ha vietato la pubblicità a pagamento che tratta di politica, come del resto ha fatto anche il ben più adulto Twitter, è sul piano dei contenuti e dell’organizzazione delle comunità che i movimenti politici più rilevanti di questi mesi hanno lavorato, producendo su TikTok una quantità consistente di contenuti, commenti ed interazioni. Per esempio, l’hashtag #georgefloyd ha raccolto video per 5,1 miliardi di visualizzazioni e #blacklivesmatter per 27,8 miliardi, mentre in Italia #greenpass ha raggiunto 53,6 milioni di visualizzazioni e #ddlzan 63,1 milioni.
Un social network frequentato dai teenager ed ancor più una piattaforma che ha nella personalizzazione dell’esperienza il suo fattore distintivo non può dunque essere analizzata con gli stessi criteri di Facebook o Instagram: chi intenda porsi come attivista politico su TikTok deve confrontarsi con un ambiente in cui, accanto ai contenuti mainstream, vi sono culture alternative che si organizzano in un Tik Tok parallelo (#alttok) e che non presentano certo la stessa sensibilità al linguaggio politico dei meme e dei talk show. Del resto, non vi sono neppure i fact checker e abbondano negli Stati Uniti i profili antivaccinisti e legati a QAnon.
Occorre però riconoscere che, così come Donald Trump si è servito di Twitter per influenzare la stampa, allo stesso modo una cosa che diventa virale oggi su TikTok poi diventa virale anche su Instagram, e dopo qualche giorno i giornalisti se ne accorgono e ne parlano in tv. Possiamo quindi scommettere sul fatto che i leader della prossima generazione se non proverranno da TikTok, dovranno indubbiamente individuare una forma per esservi, anche indirettamente, presenti.
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