Mentre una nuova ondata di contagi si abbatte sull’America latina e il 6 aprile il Brasile ha superato i 4 mila morti in un solo giorno, in due Paesi si andrà comunque a votare. L’11 aprile, infatti, si svolgerà sia il primo turno delle elezioni presidenziali peruviane (primi dati alle 2:00 italiane della notte) che il ballottaggio in quelle dell’Ecuador (qui invece i seggi chiudono alla mezzanotte italiana).
Clima rovente in Ecuador
Ad affrontarsi nelle elezioni dell’11 aprile saranno Andrés Arauz e Guillermo Lasso, usciti dal primo turno del 7 febbraio rispettivamente con il 32,7% e il 19,7% dei voti. Fuori dal ballottaggio, per poco meno di 32 mila voti, Yaku Pérez, leader della formazione indigenista Movimiento de Unidad Plurinacional Pachakutik (MUPP-18). Nonostante le accuse di brogli mosse da Pérez, il risultato non è cambiato e adesso MUPP-18 potrebbe essere l’ago della bilancia nel secondo turno, anche perché è importante ricordare che in Ecuador il voto è obbligatorio, pena una multa.
Teoricamente più vicini al centrosinistra di Arauz, i movimenti indigeni riuniti hanno deciso di indicare ai propri elettori il voto in bianco, ma non tutti sono stati d’accordo: è il caso di Jaime Vargas, presidente della Confederación de Nacionalidades Indígenas de l’Ecuador (CONAIE), che ha invitato a sostenere Arauz e, per questo motivo, è stato tacciato di tradimento ed espulso da MUPP-18. Secondo l’analisi di Clima Social, il 32,4% di chi ha votato per Yaku Pérez al primo turno annullerà la scheda, mentre il 17,4% sosterrà Arauz e il 30,4% Guillermo Lasso. Proprio i voti che non arriveranno dal movimento indigeno potrebbero dunque essere determinanti in un ballottaggio che si presenta molto serrato: se la maggior parte dei sondaggi fotografa un vantaggio di Arauz, una rilevazione di Cedatos chiusa il 30 marzo darebbe il movimento di centro-destra guidato da Lasso, il CREO-PSC, in vantaggio con il 52% delle preferenze nelle intenzioni di voto.
Le linee politiche su cui si basa lo scontro sono sostanzialmente due: le scelte in ambito economico e il sostegno al correismo. Arauz è sostenitore dell’interventismo statale, in linea con le scelte attuate in precedenza da Rafael Correa, di cui è il protetto. Lasso, invece, propone un’economia aperta al mercato, con il privato come protagonista, in continuità con il presidente uscente Lenín Moreno. Moreno, precedentemente delfino di Correa, nel 2019 aveva sottoscritto un accordo con l’FMI per ottenere un credito di oltre 4 miliardi di dollari in cambio di politiche di austerità volte a ridurre il deficit. Contro questo pacchetto di misure, in particolare quella che eliminava i sussidi sui combustibili, erano montate le proteste, a seguito delle quali il taglio dei sussidi era stato bloccato. Se Arauz dovesse essere eletto presidente, però, non tornerebbe solo il correismo, ma verosimilmente anche Correa stesso: l’ex presidente, infatti, si trova in Belgio, Paese natale della moglie, per evitare una condanna in primo grado a 8 anni per corruzione nell’ambito del caso Sobornos. L’11 aprile si voterà anche su questo.
Assembramento in Perù
Mentre l’Ecuador si prepara al testa a testa finale, in Perù si voterà per il primo turno delle elezioni presidenziali e per rinnovare l’Assemblea monocamerale. Il Paese arriva al voto dopo anni a dir poco turbolenti: dalle ultime elezioni del 2016 a oggi si sono succeduti 4 presidenti. Kuczynski si dimise nel 2018 a seguito del coinvolgimento nello scandalo sulle tangenti legato alla holding Odebrecht S.A., prima che fosse destituito dal Parlamento. Il suo successore, Martín Vizcarra, è stato rimosso dall’incarico per “incapacità morale”, uno dei cinque requisiti previsti dall’articolo 113 della Costituzione per i quali il Parlamento può richiedere l’impeachment per il presidente. Dopo l’impeachment è stato nominato come suo successore Manuel Merino, in quel momento presidente dell’Assemblea, ma le proteste per la discutibile scelta del Parlamento hanno portato alla sua rinuncia dopo appena sei giorni. Ultimo della lunga serie di presidenti è Francisco Sagasti, leader e fondatore del Partido Morado.
In questo contesto i cittadini dovranno scegliere, domenica 11 aprile, uno dei candidati dei 18 partiti che si presentano alle elezioni. Tutti molto vicini nei sondaggi, solo in cinque possono ambire ad arrivare al secondo turno, il 6 giugno, mentre nessuno è in grado di vincere subito. Secondo un’indagine IPSOS uscita l’8 aprile è Yohny Lescano, candidato di Acción Popular, a essere avanti con il 12,1% delle preferenze e ad avere più possibilità di vincere al ballottaggio. Seguono Hernando de Soto della destra neoliberale Avanza País con l’11,5% e Verónika Mendoza di Juntos por el Perú con il 10,2%. Anche la figlia dell’ex dittatore Alberto Fujimori, Keiko, torna a candidarsi dopo essere uscita dalla custodia cautelare e nonostante sia ancora sotto indagine, accusata di riciclaggio e ostacolo alla giustizia. Keiko Fujimori è data al 9,3%, vicina a con George Forsyth di Victoria Nacional attestato al 9,8%. Quest’ultima formazione e Renovación Popular di Rafael López Aliaga sono le due novità delle elezioni dell’11 aprile, nonché le variabili più imprevedibili. L’incertezza sull’esito elettorale incide su un contesto politico già instabile e su una situazione sociale complicata dalla pandemia.
Le elezioni posticipate in Cile
Le elezioni cilene per scegliere i membri dell’Assemblea costituente avrebbero dovuto completare il fine settimana elettorale della costa ovest latinoamericana. Tuttavia, a causa della crescita dei contagi delle ultime settimane, l’appuntamento previsto per il 10 e l’11 aprile è stato posticipato al 15 e 16 maggio. Nonostante al 7 aprile il 39,8% dei cileni avesse ricevuto almeno una dose – e circa il 22% entrambe – il 2 aprile il Cile ha registrato 8.079 nuovi casi e un nuovo lockdown con regole stringenti è stato imposto nel Paese. La decisione di posticipare la giornata elettorale è stata presa da Sebastián Piñera, presidente cileno, e approvata dal Parlamento il 6 aprile. Oltre ai 155 membri dell’Assemblea costituente, si sarebbe dovuto votare anche per le municipali e per i governatori regionali, questi ultimi eletti per la prima volta dato che finora venivano nominati dall’esecutivo.
Secondo gli ultimi sondaggi di Cadem, il 73% dei cileni sarebbe d’accordo con la scelta del governo, mentre un 56% sarebbe stato comunque convinto di votare. Sempre secondo Cadem, al 5 aprile l’approvazione della cittadinanza sulla gestione della pandemia da parte del governo si attestava al 38%, 4 punti in meno della settimana precedente e 20 punti in meno rispetto al risultato migliore ottenuto a fine febbraio. Piñera spera che la decisione di spostare le elezioni, unita a una grande campagna vaccinale, possa far tornare il consenso in alto e spostare l’attenzione dal processo costituente, al quale si è arrivati soltanto dopo una grandissima mobilitazione tra il 2019 e il 2020. Il 21 novembre, infatti, si svolgerà il primo turno delle elezioni presidenziali e se l’attuale presidente vuole avere qualche possibilità di vittoria dovrà senza dubbio invertire la rotta intrapresa.
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