A seguito di alcuni casi molto rari di trombosi avvenuti a seguito della somministrazione del vaccino sviluppato dall’Università di Oxford e da AstraZeneca, la maggior parte dei paesi europei ha deciso di non somministrarlo alle persone sotto i 55 o i 60 anni.
Cosa ha detto l’EMA
L’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) ha infatti comunicato la settimana scorsa che i coaguli di sangue dovrebbero essere elencati come “effetti collaterali molto rari” del vaccino AstraZeneca. La decisione è stata presa dopo che il Comitato per la valutazione dei rischi per la farmacovigilanza (PRAC) ha valutato 86 casi di trombosi a seguito del vaccino, la maggioranza dei quali si sono verificati in donne sotto i 60 anni di età.
L’EMA non ha identificato fattori di rischio legati all’età o al sesso e ha continuato a dire che i benefici superano i rischi: “Il vaccino è molto efficace nel salvare vite umane e la vaccinazione è estremamente importante”, ha spiegato la direttrice esecutiva dell’EMA Emer Cooke.
L’Italia, seguendo quanto fatto da altri paesi e non quanto detto dall’EMA, ha scelto di raccomandare l’utilizzo del vaccino AstraZeneca solo a chi ha più di 60 anni. Nel nostro Paese, però, il vaccino rimane approvato per tutti coloro che hanno più di 18 anni e quindi è una scelta a discrezione della regione in cui si abita, essendo le vaccinazioni una materia di competenza regionale.
Ma come si effettua l’analisi del rischio?
I calcoli nel Regno Unito
Nel Regno Unito l’Agenzia regolatrice inglese dei farmaci (HMRA) ha presentato un confronto tra il rischio di avere un trombo dopo aver ricevuto il vaccino AstraZeneca e il rischio di contrarre la Covid-19 ed essere ricoverati in terapia intensiva nei quattro mesi successivi.
Lo scenario si basa su una bassa prevalenza del coronavirus: 2 casi ogni 10.000 abitanti per giorno. In Italia sarebbero all’incirca 12.000 casi quotidiani, ma va considerato che i dati quotidiani che vediamo sono solo una parte di quelli veri.
Secondo i calcoli dell’HMRA, una persona tra i 30 e i 39 anni ha un rischio tre volte maggiore di essere ricoverato in terapia intensiva rispetto alla possibilità di avere un trombo, mentre per una persona tra i 60 e i 69 anni la differenza è fino a 70 volte: è chiaro quindi che i benefici superano i rischi. L’unica eccezione è con coloro che hanno tra i 20 e i 29 anni.
Ma questo è con una bassa prevalenza quotidiana. Se la prevalenza fosse invece quella di febbraio, anche per i 20-29enni i benefici del vaccino supererebbero i rischi derivanti di circa una volta e mezza. Questo è il motivo, comunque, per cui l’HMRA ha deciso di somministrare vaccini a mRna (Pfizer e Moderna) a chi ha meno di 30 anni.
I calcoli per l’Italia
L’EMA stima che il rischio di sviluppare un trombo sia 1 ogni 100.000, mentre per l’HMRA 1 ogni 250.000. Tenendo i dati per età britannici e aggiustandoli sulla base del rischio dell’EMA, seguendo quanto fatto da El Pais, si possono produrre le seguenti stime per età:
- 20-29 anni: 2,0 ogni 100.000
- 30-39 anni: 1,5 ogni 100.000
- 40-49 anni: 1,0 ogni 100.000
- 50-59 anni: 0,8 ogni 100.000
- 60-69 anni: 0,5 ogni 100.000
Qual è invece il rischio di morire per Covid-19? Utilizzando uno studio pubblicato su Nature possiamo stimare le seguenti letalità in Italia per età:
- 20-29 anni: 11 ogni 100.000
- 30-39 anni: 38 ogni 100.000
- 40-49 anni: 115 ogni 100.000
- 50-59 anni: 303 ogni 100.000
- 60-69 anni: 864 ogni 100.000
Qual è invece il rischio di sviluppare sintomi critici (rischio di aver bisogno della terapia intensiva)? Per rispondere guardiamo i dati di uno studio italiano:
- 20-39 anni: 380 ogni 100.000
- 40-59 anni: 800 goni 100.000
- 60-79 anni: 1.340 ogni 100.000
La differenza tra il rischio post-vaccino e il rischio di morire è dunque imparagonabile, in quanto il primo è sensibilmente minore del secondo per tutte le fasce di età. Per un trentenne il rischio di morire è pari a 25 volte quello di sviluppare un trombo, per un sessantenne a 1.700 volte.
Va anche tenuto conto che la probabilità di sviluppare una trombosi venosa cerebrale se si contrae la Covid-19 è otto volte maggiore di quella che si ha se si riceve il vaccino: questo è il risultato a cui sono giunti questa settimana i ricercatori dell’Università di Oxford. Anche per gli under 30 il rischio di trombosi da Covid-19 è maggiore di quello derivante dal vaccino.
A questo punto bisogna però considerare qual è il rischio di contagiarsi. Per farlo seguiremo l’approccio sui quattro mesi proposto dall’HMRA. Questa è comunque la parte più complessa, non esistendo stime di prevalenza. In Italia ci sono stati circa 1,9 milioni di casi in questi quattro mesi, ma partendo dal numero di decessi possiamo stimare che quelli reali siano stati all’incirca 4,3 milioni: la probabilità di contagio è stata quindi tra il 3 il 7% e per semplicità ipotizziamo un 5% costante tra classi di età.
Pesando le probabilità di morire per le probabilità di contagiarsi abbiamo:
- 20-29 anni: 0,6 ogni 100.000
- 30-39 anni: 1,9 ogni 100.000
- 40-49 anni: 5,8 ogni 100.000
- 50-59 anni: 15,2 ogni 100.000
- 60-69 anni: 43,2 ogni 100.000
Le probabilità di avere sintomi critici pesate per quelle di contagio sono quindi pari a:
- 20-39 anni: 19 ogni 100.000
- 40-59 anni: 40 ogni 100.000
- 60-79 anni: 67 ogni 100.000
La probabilità di morire è quindi maggiore di quella di sviluppare un trombo per tutte le fasce di età tranne che per i 20-29enni dove otteniamo la stessa probabilità. Va inoltre considerato che per fortuna non tutti quelli che hanno un trombo poi muoiono. La probabilità di sviluppare sintomi critici è invece maggiore per tutte le classi di età.
Va anche tenuto in considerazione il fatto che il rischio del vaccino accade una volta sola, mentre la probabilità di contrarre la Covid-19 rimane nel corso del tempo finché il virus circola. Se usassimo il 7% come probabilità di infettarsi anche per i 20-29enni il vaccino converrebbe. Inoltre, il vaccino probabilmente blocca, almeno parzialmente, anche la trasmissione: la singola vaccinazione ha quindi benefici per l’intera società.
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