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L’Italia riapre, ma se lo può permettere?

Proviamo a capire se i dati della situazione epidemiologica giustificano il cambio di passo voluto dal governo Draghi

Il Presidente del Consiglio Mario Draghi, insieme al Ministro Roberto Speranza, ha illustrato un piano di riaperture parziali a partire dal 26 aprile. Draghi ha parlato di “rischio ragionato“, ma ha messo in guardia: solo attraverso il rispetto delle regole non si tornerà indietro. La linea del governo è coerente con quella del resto d’Europa? Ma soprattutto: cosa dicono i dati relativi alla situazione epidemiologica?

 

La situazione nel Regno Unito e in UE

Da qualche giorno il Regno Unito ha allentato le restrizioni. Hanno riaperto barbieri, biblioteche, parchi a tema, zoo, negozi. Durante questo terzo lockdown, il Premier Johnson ha deciso di chiudere anche le scuole, diversamente da novembre: all’apertura ai ragazzi e alle ragazze sono stati forniti test fai-da-te, in grado di fornire il risultato in 20/30 minuti. In una recente intervista, il Premier ha affermato che il netto miglioramento della situazione epidemiologica non è dovuto alla campagna vaccinale, ma proprio alle restrizioni.

La curva dei nuovi casi, nel grafico sotto, mostra appunto il calo dopo l’impennata di dicembre e il picco di gennaio. Il tasso di occupazione odierno delle terapie intensive è inoltre piuttosto basso: 7%.

 

 

La campagna vaccinale inglese, inoltre, procede spedita. In altri paesi come Germania e Francia, invece, la situazione è differente: con gli indicatori in aumento, la Germania ha prolungato le restrizioni in atto da dicembre, dopo averle solo parzialmente allentate, mentre la Francia si trova invece in un lockdown che durerà almeno fino al 26 di aprile (scuole chiuse, autocertificazione per spostamenti oltre i 10 km da casa, attività non essenziali chiuse).

 

La situazione italiana

La situazione italiana mostra luci e ombre. A livello di nuovi contagi, nonostante il picco sembri ormai passato, i numeri restano elevati.

Nonostante il trend sia in leggero miglioramento, i posti occupati nelle terapie intensive restano oltre la soglia di allarme. Questo dato, va sottolineato, presenta un lag rispetto ai nuovi casi: è quindi probabile che il calo si farà più netto nelle prossime settimane, qualora dovesse continuare il trend di discesa dei nuovi positivi.

 

Terapie intensive: grafico di Luca Cozzuto

 

 

 

Quali rischi si stanno correndo

In una articolo pubblicato su Nature, le autrici e gli autori hanno analizzato l’andamento dell’epidemia, delle terapie intensive e dei decessi in base alla velocità della strategia vaccinale e agli interventi non farmaceutici. Utilizzando il loro modello, una fase di riaperture con Rt=1.27, anche con vaccinazioni veloci, porterebbe a un numero di morti stimato tra i 50 mila e i 90 mila. 

A destare ulteriori preoccupazioni vi è l’apertura delle scuole. Il virus che abbiamo conosciuto nel 2020, secondo gli studi, presentava una bassa suscettibilità negli studenti fino a 14 anni. Tuttavia la variante inglese B.1.1.7. diventata ormai prevalente sembrava attaccare di più i bambini in età scolastica, tant’è che nel Regno Unito essa si è diffusa, durante il secondo lockdown, proprio a partire dalle scuole. Anche i report dell’ISS mostrano che, nel mese di febbraio, l’incidenza è aumentata proprio tra gli adolescenti in età scolastica e nella fascia dei loro genitori. A differenza del Regno Unito, inoltre, l’Italia non ha programmato alcun programma di sorveglianza con tamponi fai-da-te o attraverso un potenziamento del tracing.

Sugli eventi all’aperto vi è una discussione in seno alla comunità scientifica: vi è infatti unanimità nel concordare che il contagio all’esterno sia meno probabile rispetto a quello in luoghi chiusi, anche se risulta difficile stimare di quanto. A questo proposito, uno studio ha stimato che eventi come le partite di calcio aperte al pubblico sugli spalti portano a un aumento di 6 casi per 100.000 abitanti e 3 morti aggiuntivi sempre su 100.000 abitanti. Gli studiosi, tuttavia, avvertono che attraverso protocolli ben congeniati il rischio può essere ridotto.

 

La crisi economica e l’esasperazione sociale

Tra le motivazioni addotte dall’opinione pubblica per questa accelerazione nel programma di riaperture, due interessanti ve ne sono: la motivazione economica e quella sociale.

Come è noto, l’Italia presenta una situazione precaria dei conti pubblici da prima della pandemia. Le preoccupazioni sulla sostenibilità del debito pubblico italiano sono tuttavia progressivamente scemate, soprattutto a causa del cambiamento nelle istituzioni europee e nei mercati. L’economista Olivier Blanchard, all’inizio della crisi, ha sostenuto che il debito italiano non rappresenta un problema, a patto che la crisi non si aggravi: i rendimenti dei titoli di stato, infatti, seguono un trend discendente. Con l’aiuto della BCE e dell’Eurozona, conclude Blanchard, l’Italia non dovrebbe correre rischi.

Veniamo ora alla questione sociale. Il claim è che questa accelerazione sarebbe dovuta a una sempre maggior insofferenza, da parte dei cittadini e delle cittadine, alle restrizioni. A riguardo, però, i dati mostrano una situazione più complessa: in un sondaggio effettuato nel mese di marzo, il fronte delle chiusure presentava una maggioranza schiacciante nel Paese.

 

 

Le chiusure sono supportate dagli elettori della coalizione del governo Conte II. Più restii, invece, gli elettori e le elettrici di Fratelli d’Italia.

 

 

Conclusioni

La fase di riaperture annunciata dal Governo Draghi ha fatto emergere pareri discordanti all’interno della comunità scientifica: se il professor Galli del Sacco di Milano confida che “gli tremano le gambe” a pensare al rischio, Bassetti afferma invece di vedere una luce alla fine del tunnel.

Ma i dati mostrano una situazione ancora delicata, seppure in miglioramento. C’è da sperare, come ha commentato la ricercatrice in Statistica Martina Patone, che la bella stagione basti: il rischio è quello di una riapertura troppo avventata.

 

Mattia Marasti

23 anni, studente di matematica, bevitore incallito di tè.

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