Questa settimana si concludono i primi cento giorni della presidenza di Joe Biden. In occasione di questo traguardo, il presidente americano nella notte ha tenuto il primo discorso al Congresso riunito in seduta comune.
Ma come sono andati questi primi cento giorni?
La campagna di vaccinazione
Una delle principali sfide iniziali di Biden è stata la gestione della campagna di vaccinazione. Il neo-presidente aveva promesso 100 milioni di somministrazioni in 100 giorni: si tratta di un obiettivo ampiamente raggiunto, dal momento che la settimana scorsa si è toccata quota 200 milioni.
Attualmente negli Stati Uniti il 42,5% della popolazione totale ha ricevuto almeno una dose di vaccino (il 29% è completamente vaccinato) e tra gli over 65, i più a rischio quando contraggono la Covid-19, si sale all’82%.
Negli ultimi giorni, però, anche negli Stati Uniti la campagna vaccinale ha subito dei rallentamenti. La media mobile settimanale delle somministrazioni giornaliere sta infatti scendendo e ci sono oltre 60 milioni di dosi già consegnate ma ancora inutilizzate.
In ogni caso, grazie anche a un miglioramento della situazione epidemiologica, i decessi sono scesi da una media giornaliera di 3.000 al 20 gennaio ai 700 di adesso.
Fonte: Bloomberg
L’economia: un nuovo ruolo per lo Stato
La seconda grande sfida di Biden è l’economia. Il neo-presidente ha iniziato proponendo un pacchetto di spesa da 1.900 miliardi di dollari (poco meno del 10% del PIL americano) per affrontare le conseguenze economiche del coronavirus.
Il pacchetto di stimolo è stato approvato alla Camera dei Rappresentanti con 220 voti a favore e 211 contrari e al Senato con 51 voti a favore e 50 contrari. Nella Camera alta è stato fondamentale il voto della vicepresidente Kamala Harris: negli Stati Uniti, infatti, la vicepresidente può votare al Senato per rompere la parità. I Democratici non sono riusciti a convincere neanche un Repubblicano a votare a favore.
La legge copre una moltitudine di aspetti. Menzionando solo alcune delle proposte, era prevista l’estensione dei sussidi di disoccupazione integrativi da $300 alla settimana fino al 6 settembre, un nuovo round di assegni di stimolo da $1.400 per tutti i cittadini americani che guadagnano fino a 75 mila dollari annui (single) o 150 mila dollari (coppie), crediti fiscali a favore delle famiglie che guadagnano meno di 75 mila dollari, 20 miliardi di dollari di nuovi fondi per la campagna di vaccinazione nazionale e 350 miliardi di dollari a favore di Stati ed autorità locali per coprire i buchi di bilancio causati dalla pandemia.
Successivamente, Joe Biden ha proposto un piano per le infrastrutture da 2.500 miliardi di dollari con l’obiettivo di creare “l’economia più resiliente e innovativa del mondo”. Il piano, tra le molte cose, prevede di ricostruire 20.000 miglia (32.000 chilometri) di strade, riparare dieci ponti economicamente importanti, eliminare i tubi di piombo dalle reti idriche e una lunga lista di altri progetti.
Questa notte, parlando al Congresso, Biden ha anche proposto il Families Plan da 1.800 miliardi di dollari che prevede, tra le molte cose, minori tasse per le famiglie con bambini, due anni di college gratuito, scuola d’infanzia gratuita, aiuti per l’assistenza sanitaria e per i buoni pasto.
Per finanziare il piano infrastrutturale, Biden ha proposto un aumento dell’imposizione fiscale sulle società (la cui aliquota passerebbe dal 21 al 28%) e in particolare dalle multinazionali che fanno profitti all’estero. Chi guadagna meno di 400.000 dollari non avrà alcun aumento di imposte.
L’idea di alzare le tasse non è però piaciuta al senatore Joe Manchin, Dem centrista della West Virginia, che ha proposto di alzare l’aliquota solo fino al 25%. Servirà trovare un compromesso in quanto il suo voto è fondamentale perché la legge possa passare.
Biden ha difeso la sua idea dicendo stanotte che la “trickle-down economics non ha mai funzionato, per cui è tempo di far crescere l’economia dal basso verso l’alto”, andando così a contrapporsi a una delle idee fondamentali di Ronald Reagan e dei Repubblicani.
Il ritiro dall’Afghanistan e la politica estera
La più importante decisione di politica estera è stata quella di ritirare completamente le forze statunitensi dall’Afghanistan. Il piano annunciato da Biden prevede l’inizio del ritiro delle truppe il 1° maggio, per concludersi l’11 settembre 2021, una data che rappresenta il 20esimo anniversario dei tragici attentati alle Torri Gemelle.
Biden ha spiegato la decisione con un discorso dalla Treaty Room della Casa Bianca, la stessa sala in cui nel 2001 l’allora presidente George W. Bush aveva annunciato l’inizio della guerra. Ha detto che “è tempo di porre fine alla guerra eterna” perché “non possiamo continuare il ciclo di espansione o estensione della nostra presenza in Afghanistan per cercare l’illusione di creare le condizioni per il nostro ritiro ed attenderci un risultato differente rispetto a quello che abbiamo già visto”. Secondo il presidente l’obiettivo iniziale, ossia “assicurarsi che l’Afghanistan non sia usato come base dalla quale attaccare di nuovo il nostro Paese”, è stato raggiunto con l’uccisione di Osama Biden Laden nel 2011.
La Casa Bianca ha spiegato chiaramente di non ritenere possibile sconfiggere militarmente i Talebani in Afghanistan e che la rete terroristica di al-Qaeda oggi non abbia più le risorse necessarie per attaccare nuovamente il territorio americano come ha fatto 20 anni fa. Al momento in Afghanistan sono presenti circa tremila soldati americani e settemila soldati di altri Paesi NATO, che seguiranno lo stesso destino di quelli americani, ritirandosi entro settembre dal Paese.
Fonte: BBC
La decisione ha alimentato il dibattito negli Stati Uniti e non solo: hanno criticato Biden diversi Repubblicani e anche alcuni giornali come l’Economist, mentre a difendere Biden si è schierato l’ex presidente Barack Obama, il quale ha sostenuto che Biden “ha preso la decisione giusta”.
Nel frattempo le tensioni con la Russia non si sono ridotte. Durante un’intervista ad ABC News, il giornalista George Stephanopoulos ha domandato a Biden se ritiene il presidente russo Vladimir Putin un “killer”, e il presidente ha risposto “Sì”. Biden ha anche detto Putin “pagherà” le conseguenze per aver cercato di interferire nelle elezioni americane del 2020. Lo scambio ha avuto però più attenzione mediatica all’estero che negli Stati Uniti.
A fine febbraio, Biden ha ribadito che gli Stati Uniti non intendono riconoscere la sovranità russa sulla Crimea, il pezzo di territorio ucraino annesso illegalmente da Putin nel 2014. “Gli Stati Uniti non riconoscono e non riconosceranno mai l’annessione da parte russa della penisola e resteranno dalla parte dell’Ucraina contro gli atti di aggressione da parte russa”, ha dichiarato Biden.
Il presidente ha poi preso una decisione senza precedenti sulla Turchia: questo sabato ha infatti riconosciuto che la tragedia degli armeni avvenuta più di cento anni fa è stata un genocidio commesso dalla Turchia. È stato il primo presidente a farlo, anche se Ronald Reagan fece un rapido riferimento al genocidio armeno in una dichiarazione scritta del 1981 sull’Olocausto.
In generale, Biden sta cercando di migliorare l’immagine degli Stati Uniti come Paese che sta dalla parte della democrazia, dei diritti umani e che punta sul multilateralismo dopo i difficili 4 anni di Donald Trump. Alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco, tenuta in modalità virtuale quest’anno, ha infatti detto che “la democrazia non nasce per caso, ma dobbiamo difenderla, combattere per essa, rafforzarla, rinnovarla”.
“Voglio mandare un messaggio chiaro al mondo: l’America è tornata. L’Alleanza Atlantica è tornata più forte che mai e non intendo guardare indietro: non vediamo l’ora di lavorare insieme”, ha promesso Biden.
Immigrazione: la crisi al confine con il Messico
A metà marzo Biden si è trovato ad affrontare una crisi migratoria al confine col Messico. Si è infatti avuto un nuovo massiccio aumento di persone che arrivavano al confine per chiedere asilo, tra cui molti minorenni spesso non accompagnati.
In breve tempo la situazione si è fatta complicata, perché migliaia di bambini si sono trovati soli nei centri situati sul suolo americano, in condizioni anche molto precarie. La legge federale prevede che i minori non accompagnati siano presi in carico entro 72 ore, ma l’emergenza ha mandato in affanno l’intero sistema d’accoglienza.
Joe Biden si è presentato diversamente dal suo predecessore, che aveva inaugurato la politica della “separazione delle famiglie”, sosteneendo che non lascerà che i bambini non accompagnati “muoiano di fame” e “restino dall’altra parte”. Ma il messaggio è rimasto che il confine è chiuso e allo stesso tempo che non c’è alcuna emergenza.
Durante una conferenza stampa, Biden ha detto che l’aumento dei migranti che arrivano al confine non è dovuto alle sue politiche, ma al fatto che è un fenomeno ciclico e “accade ogni anno”. Ha spiegato che le agenzie federali che si occupano di questo stanno “rafforzando la capacità che dovrà essere mantenuta e costruita su quella smantellata da Trump” e ha detto che “ci vorrà tempo”.
Al Congresso è stata poi presentata una legge di riforma del sistema di immigrazione con le principali idee di Biden. Lo US Citizenship Act permetterebbe di garantire green cards e percorsi per ottenere la cittadinanza ai cosiddetti DREAMers, titolari di status di protezione temporanea e lavoratori agricoli immigrati privi di documenti. Del resto attualmente ci sono milioni di persone che si trovano illegalmente nel Paese.
Fonte: BBC
Qualsiasi riforma non economica sarà difficile da far passare
Ma qualsiasi riforma non economica avrà vita dura, se non impossibile. Al Senato infatti non è sufficiente avere la maggioranza per far passare le leggi. La minoranza può portare avanti un ostruzionismo (filibuster) a cui si può porre fine con un voto dell’aula in cui 60 senatori votano a favore. Quindi, senza 60 voti nessuna riforma può essere portata avanti, ma i Dem ne hanno solo 50. Le uniche eccezioni sono le riforme che riguardano il bilancio federale e le conferme dei giudici federali, per le quali basta una maggioranza assoluta.
In questi mesi si è parlato molto della possibilità di modificare il regolamento del Senato e abolire il filibuster (per cui basterebbero 51 voti), ma due senatori Democratici, Joe Manchin e Kirsten Sinema, sono contrari. Anche Biden non sembra così favorevole, nonostante lo abbia definito una “reliquia dell’era di Jim Crow”.
Durante un’intervista, Biden ha detto di essere d’accordo a una parziale modifica, cioè a far sì che l’ostruzionismo si faccia davvero parlando incessantemente (mentre ora basta la minaccia di farlo), come si faceva quando divenne lui senatore. Poco dopo, però, la portavoce della Casa Bianca Jen Psaki ha insistito sul fatto che Biden preferiva “non apportare modifiche” all’ostruzionismo, ma era “aperto all’ascolto” di idee sull’argomento.
Biden piace agli americani
Infine, guardiamo i dati sulla popolarità del presidente americano. Secondo la media del sito FiveThirtyEight il 54% degli americani approva il suo operato, mentre il 41,8% no (con un aumento nell’ultima settimana). L’approvazione netta è quindi pari a 12 punti. Per fare un confronto, quella di Trump a questo punto della presidenza era a -10.
Biden rimane comunque meno popolare di altri presidenti, ma ciò è dovuto al fatto che negli ultimi anni le opinioni degli americani sulla politica si sono incredibilmente polarizzate, rendendo difficile ottenere il sostegno degli elettori del partito di opposizione.
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