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Come funziona il nuovo sistema per decidere i colori

Il sistema di monitoraggio si basa sull’incidenza settimanale, sull’analisi del rischio e sui tassi di occupazione ospedalieri

Il 18 maggio sulla Gazzetta Ufficiale è stato pubblicato il decreto legge Riaperture che, tra le altre cose, va a modificare il sistema di monitoraggio settimanale semplificando le regole precedenti per determinare i colori delle regioni. Le zone rimangono quattro: bianca, gialla, arancione e rossa. Si applicano nelle varie zone le restrizioni sino ad ora previste.

 

Come si decide la zona

Il nuovo sistema si basa principalmente sull’incidenza dei casi sulla popolazione e sulle percentuali di occupazione di terapie intensive e aree mediche, ma anche sull’analisi del rischio elaborata dall’Istituto superiore di sanità (il cui funzionamento è spiegato a fine articolo). L’incidenza è calcolata a partire dai dati diffusi dalla Protezione Civile giornalmente, mentre i dati sull’occupazione ospedaliera si ottengono dall’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (Agenas). 

Zona bianca:

  • incidenza settimanale inferiore a 50 casi ogni 100.000 abitanti per tre settimane consecutive

Zona gialla:

  • incidenza settimanale tra 50 e 150 casi ogni 100.000 abitanti con rischio basso o moderato
  • incidenza settimanale tra 150 e 250 casi ogni 100.000 abitanti e si ha una delle seguenti condizioni
    • occupazione delle aree mediche inferiore al 30%
    • occupazione delle terapie intensive inferiore al 20%

Zona arancione:

  • incidenza settimanale tra 50 e 150 casi ogni 100.000 abitanti con rischio alto
  • incidenza settimanale tra 150 e 250 casi ogni 100.000 abitanti

Zona rossa:

  • incidenza superiore a 250 casi ogni 100.000 abitanti
  • incidenza settimanale tra 150 e 250 casi ogni 100.000 abitanti e si verificano entrambe le condizioni
    • occupazione delle aree mediche superiore al 40%
    • occupazione delle terapie intensive superiore al 30%

Il nuovo sistema è in vigore ufficialmente dal 16 giugno, ma fino a quella data settimanalmente si utilizzeranno sia questo monitoraggio sia il precedente e in caso di risultato discordante si considererà quello che determina le minori restrizioni.

Quando si è un determinato colore bisogna rimanerci per almeno due settimane prima di poter passare a uno che determina restrizioni miglioramenti (come da rosso a arancione). Il peggioramento (come da arancione a rosso) avviene invece appena il monitoraggio indica il colore con le maggiori restrizioni.

 

Come funziona l’analisi del rischio?

L’analisi del rischio è basata sulla probabilità della diffusione del Sars-Cov-2 nel territorio e sull’impatto che avrà su ospedali e soggetti a rischio. A fine aprile il Ministero della Salute con un decreto ministeriale ideò una serie di criteri e due algoritmi con cui arrivare a concludere qual era la situazione a livello regionale: bisogna dunque rispondere a delle domande e a seconda della risposta data muoversi di conseguenza.

Partiamo dalla probabilità. La prima domanda che ci si pone è se si siano registrati nuovi casi negli ultimi 5 giorni. Se la risposta è no, allora la probabilità di diffusione è “molto bassa”. Se invece la risposta è sì, si passa alla seconda domanda: vi è evidenza di un aumento della trasmissione? Se la risposta è no, la probabilità è “bassa”, mentre se la risposta è sì si va alla terza domanda: vi è evidenza che la trasmissione non sia gestibile con misure locali? In caso di risposta negativa, corrispondente a una situazione che si può ancora controllare, si ha una probabilità “moderata”, altrimenti è considerata “alta”.

Passiamo ora all’impatto. La prima domanda è se vi sia un aumento dei casi negli ultimi 5 giorni tra gli over 50. In caso di risposta negativa l’impatto è “molto basso”, mentre se è positiva si passa alla seconda domanda: i servizi sanitari sono in sovraccarico? Se no, l’impatto è “basso”, altrimenti si va alla domanda tre: vi sono evidenze di nuovi focolai nelle case di riposo o negli ospedali o in luoghi con popolazione anziana? In caso di risposta negativa l’impatto è “moderato”, in alternativa “alto”.

Come si combinano probabilità e impatto per definire il rischio? Dopo aver risposto alla precedenti domande si ha infatti un livello di impatto e uno di probabilità: il Ministero della Salute ha quindi definito una matrice (vedere la tabella qui sotto) che combina le due analisi, restituendoci il livello di rischio.

Per essere a rischio “molto alto” bisogna avere una probabilità e un impatto “alto”, mentre per essere a rischio “alto” si deve avere una probabilità “alta” e un impatto “moderato” o viceversa. In tutte le altre situazioni si è a rischio “moderato”, “basso” o “molto basso”.

 

Quali sono gli indicatori

L’Istituto superiore di sanità (Iss) per rispondere alle domande e valutare il rischio considera 21 indicatori, di cui 16 obbligatori e 5 opzionali.

Il primo gruppo di indicatori obbligatori riguarda la capacità di monitoraggio. Si guardano i seguenti dati:

  • Casi sintomatici di cui si conosce la data di inizio dei sintomi (indicatore 1.1);
  • Casi con ricovero in ospedale di cui è indicato il giorno di ricovero (1.2);
  • Casi entrati in terapia intensiva di cui è indicata la data di trasferimento (1.3);
  • Casi notificati per mese in cui è riportato il comune di domicilio o residenza (1.4).

Per tutti questi indicatori la soglia di completezza è del 60%, per cui bisogna conoscere le informazioni di almeno 6 persone ogni 10 affinché il monitoraggio possa funzionare. L’informazione più importante in questo gruppo è la prima, perché la Fondazione Bruno Kessler (FBK), l’ente che calcola Rt per l’Iss, parte dalla data di inizio dei sintomi per calcolare l’indice di riproduzione, in modo da avvicinarsi il più possibile alla vera curva epidemica.

Nel secondo gruppo di indicatori obbligatori si guardano invece trasmissione e tenuta dei servizi sanitari. Gli indicatori sono:

  • Casi negli ultimi 14 giorni (3.1);
  • Indice Rt (3.2);
  • Casi per data di diagnosi e di inizio dei sintomi (3.4);
  • Numero di nuovi focolai (3.5);
  • Numero di casi non associati a catene di trasmissione note (3.6);
  • Tasso di occupazione delle terapie intensive (3.8);
  • Tasso di occupazione delle aree mediche rilevanti (3.9).

Le soglie di allerta in questo caso sono varie: il numero di casi deve essere stabile o in calo, Rt inferiore a 1, il trend settimanale dei casi in calo, non deve esserci un aumento dei focolai attivi in particolare negli ospedali o nelle case di riposo e il numero di casi non associati a catene note non deve diminuire (altrimenti è richiesta una valutazione del rischio ad hoc).

Per quanto riguarda i due indicatori legati agli ospedali, la soglia di allarme si raggiunge se il tasso di occupazione delle terapie intensive è superiore al 30% (tendenzialmente il 60-70% dei posti è già occupato da pazienti ricoverati per altri motivi) o se quello delle aree mediche rilevanti è superiore al 40%. Le aree mediche rilevanti sono la 24 (malattie infettive e tropicali), 26 (medicina generale) e 68 (pneumologia). L’Iss è in particolar modo interessato a stabilire la probabilità che nei trenta giorni successivi vengano superate queste due soglie.

Nel terzo gruppo ci sono gli indicatori obbligatori relativi alla capacità di accertamento diagnostico, indagine e gestione dei contatti si guardano:

  • Tasso di positività sui tamponi (2.1);
  • Tempo trascorso tra la data di inizio dei sintomi e la data di diagnosi (2.2);
  • Numero di persone destinate al contact tracing (2.4);
  • Numero di persone destinate  al prelievo dei tamponi (2.5);
  • Numero di casi confermati di infezione nella regione per cui sia stata effettuata una regolare indagine epidemiologica (2.6).

In questo caso si ha un’allerta se:

  • Aumento il tasso di positività;
  • La mediana del tempo tra la data di inizio dei sintomi e la data di diagnosi è superiore ai 5 giorni;
  • I numeri delle persone dedicate alle due attività è ritenuto non adeguato rispetto agli standard europei;
  • Il numero di casi con indagine epidemiologica è in aumento rispetto alla settimana precedente.

Infine, ci sono i cinque indicatori opzionali, che non analizzeremo dal momento che non hanno un ruolo attivo nel monitoraggio.

 

Come si risponde alle domande dei due algoritmi

Partiamo di nuovo dalla probabilità. Per rispondere alla prima domanda (nuovi casi negli ultimi 5 giorni?) si guarda se ci sono nuovi casi negli ultimi 5 giorni. Per la domanda 2 (aumento della trasmissione?) invece si guarda al trend dei casi (indicatore 3.1), al secondo trend dei casi (3.4), al fatto se Rt è sopra 1 (3.2) e al trend dei focolai (3.5). Per rispondere “sì” e passare quindi alla terza domanda serve che ci siano almeno due elementi in peggioramento. Alla terza domanda (trasmissione non gestibile con misure locali?) si risponde invece in modo qualitativo con una valutazione specifica.

Guardiamo ora l’impatto. Alla prima domanda (aumento dei casi negli 5 cinque giorni tra gli over 50?) si guardano i casi sopra i 50 anni negli ultimi 5 giorni, alla seconda domanda (sovraccarico dei servizi sanitari?) gli indicatori 3.8 e 3.9 (sovraccarico terapie intensive e aree mediche) e serve che entrambi siano sotto la soglia per fermarsi e stabilire che l’impatto è basso. Alla terza domanda (focolai in case di riposo o ospedali?) si risponde guardando dove sono stati segnalati i focolai (3.5).

Il rischio può poi essere alzato ulteriormente se vi è la presenza di “resilienze territoriali”, anche se il decreto legge che ha istituto l’analisi del rischio non specifica quante ne servano. Queste vengono identificate in base ai dati degli indicatori 2.1 e 2.6, cioè il tasso di positività e il numero di casi senza indagine epidemiologica. Questi due indicatori infatti ci dicono la pressione che stanno subendo le aziende sanitarie locali nelle attività di contact tracing.

Dopo aver considerato tutto questo è possibile che l’Iss stabilisca che c’è il rischio che al monitoraggio successivo la situazione peggiori. Questo avviene nel caso in cui la probabilità che le occupazioni di terapie intensive e aree mediche superino le soglie di allarme sia superiore al 50% (affinché ci sia il rischio di progressione devono esserlo entrambe). In quel caso il monitoraggio riporterà ad esempio la dicitura “Classificazione complessiva del rischio: moderata ad alto rischio di progressione a rischio alto”.

Lorenzo Ruffino

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