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Il tracciamento dei casi non sta migliorando

Nonostante il forte calo dei casi e il miglioramento epidemico, il sistema di contact tracing in Italia non migliora. 

Nell’ultima settimana l’Italia ha registrato un’incidenza inferiore ai 10 casi ogni 100.000 abitanti, raggiungendo un livello che non si vedeva da molti mesi. Da diverse settimane i casi sono in calo costante e l’incidenza da più di un mese è sotto la soglia di 50 casi ogni 100.000 abitanti. Questa soglia è importante perché, secondo l’Istituto superiore di sanità (Iss), sarebbe quella sotto cui il tracciamento dei casi potrebbe ripartire (si veda ad esempio qui, qui o qui). Ma in realtà i dati mostrano che il tracciamento dei casi continua ad avere consistenti problemi.

 

I casi di cui non conosciamo l’origine

I dati diffusi settimanalmente dall’Iss che possono essere usati come indicatori della capacità di tracciamento sono diversi. Uno di questi è la percentuale di casi che non sono associati a catene di trasmissione note (indicatore 3.6).

Da novembre 2020 a giugno 2021 ogni settimana c’è stato almeno un 30% di persone che si sono infettate e su cui le Asl locali non erano riuscite a capire come si fossero contagiate. A novembre, nel peggior momento per l’epidemia in Italia, la quota di casi non associati a catene note è arrivata a essere superiore al 43%.

Va inoltre considerato che c’è un’ampia varianza regionale. In alcune regioni, nell’ultima settimana del monitoraggio, i casi non associati a catene di trasmissione sono pari allo 0% (Molise), mentre in altre si arriva anche all’89% (Trento) passando dal 16% (Abruzzo) o dal 51% (Toscana).

Questo è probabilmente il migliore indicatore per valutare la capacità di tracciare i contatti, perché finché c’è un’alta quota di casi di cui non si conosce l’origine del contagio non si può dire che le operazioni di tracciamento stanno funzionando. È infatti impossibile fermare dei focolai o dei cluster se non si sa qual è il caso da cui tutto parte.

 

 

 

Al diminuire dell’incidenza settimanale si osserva un leggero miglioramento nel tracciamento, ma molto contenuto. Nonostante infatti l’incidenza ora sia quasi un trentesimo di quella del momento peggiore, la quota di casi sconosciuta è migliorata di circa un quarto. 

Più in generale, quando si guarda all’incidenza settimanale e alla quota di casi tracciati a livello regionale, si osserva come non ci sia una relazione tra le due cose. Anche sotto la soglia dei 50 casi ogni 100.000 abitanti la quota di casi di cui non si conosce l’origine è molto alta. 

 

 

Quanto ci vuole a trovare i casi

Tra gli altri indicatori utili a testare la tempestività del tracciamento ci sono i tempi mediani tra quando iniziano i sintomi e quando si viene testati, così come tra quando si hanno i sintomi e quando si inizia l’isolamento domiciliare.

La mediana è un indicatore particolarmente utile perché mostra il valore al centro: se è due, sappiamo che metà dei casi è sotto questo valore e metà sopra. A differenza della media, infatti, è meno soggetta ad outliers

Guardando i dati settimanali per regione in relazione all’incidenza, si vede che il tempo mediano scende leggermente, ma non molto. Il tempo in cui si identifica un caso dopo lo sviluppo dei sintomi non sembra essere particolarmente legato al numero di casi nella regione. Anche in queste ultime settimane diverse regioni diagnosticano la presenza del coronavirus tre giorni dopo lo sviluppo dei sintomi (ad esempio Lazio, Lombardia Puglia o Bolzano) e in Piemonte si arriva a cinque giorni. Le Marche sembrano invece riuscire a testarli il giorno stesso. Bisogna ricordare che questi sono i tempi mediani, quindi metà dei positivi viene trovata dopo questa soglia. 

 

 

 

Le regioni sembrano invece fare meglio per quanto riguarda il tempo che intercorre tra data di inizio dei sintomi e data di isolamento: molte regioni mettono infatti in isolamento in uno o due giorni. C’è il curioso caso del Molise che nella prima settimana di giugno è arrivato a isolare metà dei positivi più di tre giorni prima che sviluppassero i sintomi.

Isolare in fretta i casi è fondamentale, perché le persone infette hanno la maggiore probabilità di contagiare da due giorni prima di sviluppare i sintomi a cinque giorni dopo averli sviluppati. 

Secondo uno studio dell’Università di Oxford, il contact tracing risulta essere inutile se il tempo di notifica di un caso è superiore ai tre giorni. Infatti, dopo che il test risulta positivo, l’operatore sanitario deve sentire la persona positiva, farsi dire i contatti e poi metterli in quarantena. Questo processo in Inghilterra richiede circa due giorni. In Italia il tempo mediano tra sintomi e test è storicamente di tre giorni, quindi metà dei casi vengono individuati troppo tardi affinché il contact tracing sia utile. 

 

 

La ricerca dei contatti

Le regioni sembrano essere molto efficienti nel condurre regolari indagini epidemiologiche per trovare i contatti stretti delle persone positive (indicatore 2.6). Negli ultimi sei mesi praticamente per oltre il 90% dei casi era stata condotta un’indagine epidemiologica.

Bisogna però considerare che non è chiaro cosa si intenda con “indagine epidemiologica”. Ad esempio, potrebbe essere sufficiente testare i familiari per considerare svolta l’indagine epidemiologica andando a ignorare tutti gli altri contatti della persona positiva. Non è inoltre da escludere che si possa dichiarare conclusa l’indagine anche se non si è fatto alcun tracciamento. 

 

 

Quanti tamponi si fanno per cercare i casi

L’Iss fornisce su base settimanale il tasso di positività regionale andando ad escludere “per quanto possibile tutte le attività di screening e il ‘retesting’ degli stessi soggetti” (indicatore 2.1). Sfruttando questo indicatore si può in teoria vedere qual è la quota di test fatta per la ricerca di casi positivi. Va comunque tenuto conto che non è ad esempio chiaro cosa si intenda con screening, che a livello nazionale porta ad identificare fino al 20% dei positivi. 

Nelle prime tre settimane di giugno i tamponi diagnostici, escludendo lo screening e il re-testing, sono stati in media circa 550.000 a settimana. Guardando il numero di tamponi comunicato dalla Protezione Civile, si vede che sono circa il 40-45% del totale dei tamponi fatti (considerando sia molecolari sia antigenici). Quest’ultimo è un dato sostanzialmente costante negli ultimi sei mesi. 

Il tasso di positività depurato quindi dai tamponi che si fanno per accertare le guarigioni è nell’ultima settimana pari all’1,3% ed è in calo costante da inizio aprile.

Il calo del numero dei tamponi è attribuibile al fatto che, essendoci minore circolazione virale, ci sono anche meno persone da testare. Allo stesso tempo se si cercasse davvero di tracciare i contatti e tenere sotto controllo l’epidemia, bisognerebbe evitare di diminuire troppo il numero di test condotti. 

Un alto numero di tamponi anche su persone che non presentano sintomi è importante, perché fino a metà della trasmissione è dovuta a persone che sono asintomatiche o pre-sintomatiche e che quindi possono infettare altri senza sapere di essere positivi. 

 

Quanti sono i tracciatori di contatti in Italia

Infine, guardiamo al numero di persone addette al tracciamento dei contatti (indicatore 2.4). Complessivamente in Italia sono 5.300 le persone addette a questo scopo. Da diverse settimane il dato risulta essere in calo, nonostante sia una valutazione su base mensile. In due settimane ad esempio 500 contact tracers sembrano essere spariti. Attualmente sono quasi 1.200 in meno rispetto a dicembre.

Per fare un serio tracciamento dei contatti è fondamentale avere un alto numero di persone addette a questo scopo, perché trovare tutte le persone con cui un positivo ha avuto contatti nei giorni precedenti la diagnosi è un lavoro lungo e laborioso. In Corea del Sud, ad esempio, per ogni positivo si tracciano tra i 10 e i 20 contatti e poi si verificano le loro storie. L’attività di contact tracing svolta in Inghilterra ha invece mostrato come l’utilizzo di un’app possa aiutare il lavoro delle autorità sanitarie e prevenire centinaia di migliaia di casi. 

 

 

Conclusione

In conclusione, il tracciamento dei contatti non è migliorato particolarmente di fronte alla forte riduzione dei casi, e più in generale non sembra funzionare molto bene. Negli ultimi mesi il numero di addetti al contact tracing è persino diminuito. 

La soglia dei 50 casi ogni 100.000 abitanti dovrebbe permettere il “completo ripristino sull’intero territorio nazionale dell’identificazione dei casi e del tracciamento dei loro contatti”. Eppure anche quando le regioni vanno sotto questa soglia non si osservano miglioramenti particolari. In Italia siamo sotto i 50 casi ogni 100.000 abitanti da settimane, ma un terzo dei casi continua ad avere origine sconosciuta. 

Infine, va considerato che i dati presentati dall’Iss su base settimanale sono spesso difficili da interpretare, mal definiti e basati su autodichiarazioni delle regioni o delle province autonome. È complesso capire quanto siano affidabili per valutare la reale capacità di tracciamento.

Lorenzo Ruffino

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