E’ notizia dello scorso venerdì che la World Bank, con una decisione tanto forte quanto spiazzante, ha sospeso la pubblicazione del prossimo “Doing Business” report 2022 prevista per ottobre. Il rapporto, pubblicato con cadenza annuale, è un punto di riferimento mondiale per economisti, Governi, studenti, associazioni di imprese e altri stakeholders. Attraverso le sue classifiche, suddivise per categorie, viene offerta al mondo un’indagine quantitativa dell’ambiente Paese nel quale operano principalmente piccole e medie imprese. I numeri prendono in analisi diversi campi, tra cui la burocrazia, la giustizia, tasse, commercio internazionale. Alla fine delle singole valutazioni per ogni settore, viene realizzato l’indice “Ease of Doing Business” riferito al Paese. Questo ranking è il riferimento, come detto prima, per le imprese che vogliono avviare una propria attività in un nuovo mercato.
La decisione presa assume ancora più valore, dato che ogni dichiarazione resa dall’istituzione internazionale è stata avvalorata da un rapporto indipendente scritto dalla società di consulenza WilmerHale, specializzata tra le altre cose in investigazioni interne.
Le irregolarità nei report del 2018 e del 2020
Il quadro emerso, come si può desumere dalle risultanze dell’investigazione, dipinge una situazione dove i funzionari responsabili del Doing Business team hanno subito pressioni indebite per far salire la Cina nel ranking “Ease of Doing Business” relativo al 2018. Inoltre, allo stesso modo, sono state fatte pressioni per alzare la posizione dell’Arabia Saudita nella Top Improvers list nell’indice del 2020 e per far scendere l’Azerbaijan dallo stesso indice.
Rispetto alle irregolarità riscontrate nel report 2020, sembrerebbe che le responsabilità si concentrino su un alto funzionario della World Bank che, per giustificare il valore dei contributi e del sostegno offerto dalla Banca Mondiale all’Arabia per implementare riforme, abbia effettuato pressioni per migliorare le performance del Paese. Le motivazioni per la penalizzazione dell’Azerbaijan sarebbero invece state mosse, come riferito da più dipendenti, da questioni personali nei confronti del Paese date dalla mancata implementazione delle stesse riforme suggerite dalla World Bank (nonostante i funzionari del Doing Business team suggerissero il contrario).
Concentrandoci sul Doing Business report 2018, invece, le indagini di WilmerHale hanno sottolineato come ci siano state pressioni indebite per far salire la Cina nel ranking. Queste forzature sarebbero state commesse dalla leadership della Banca Mondiale, tra cui i funzionari dell’ufficio dell’allora Presidente Kim. Inoltre, altre pressioni sarebbero state poste in essere dall’allora CEO Kristalina Georgieva (attuale direttrice operativa del FMI) e un suo alto funzionario. Appena pochi giorni fa, Georgieva ha dichiarato di essere in “profondo disaccordo con le risultanze e le interpretazioni dell’investigazione sulle irregolarità relative al suo ruolo nel report 2018 e che il tema è stato posto in discussione in un primo briefing nel Board del Fondo Monetario Internazionale”.
La Banca Mondiale, con l’occasione, ha quindi sospeso per il momento la pubblicazione del prossimo “Doing Business” report, al fine di “svolgere un audit e una revisione per rivedere report e metodologia”, includendo un nuovo approccio per valutare la possibilità di fare impresa e investire nei Paesi analizzati.
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