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Perché si somministrerà la terza dose

In Italia si è deciso di somministrare una dose in più di vaccino alle persone vulnerabili a causa del calo della protezione

La scorsa settimana in Italia sono iniziate le somministrazioni della terza dose di vaccino per i più fragili, e a partire da lunedì sono state inserite negli open data diffusi dalla struttura commissariale. Ma perché è stato deciso di iniziare a somministrare una terza dose? Facciamo il punto su questa nuova decisione. 

 

Cosa si è deciso in Italia

Il Ministero della Salute, dopo aver sentito il Comitato tecnico scientifico (Cts) e l’Agenzia Italiana per il Farmaco (Aifa), ha deciso di dare il via alla somministrazione di una dose aggiuntiva di vaccino, facendo una distinzione tra dose addizionale e dose booster: la prima è una dose in più che viene somministrata come completamento del ciclo vaccinale primario al fine di raggiungere un adeguato livello di risposta immunitaria, mentre la dose booster è una dose di richiamo dopo il ciclo vaccinale primario somministrata per mantenere nel tempo o ripristinare la protezione immunitaria

La dose addizionale quindi viene somministrata in soggetti le cui condizioni di salute sono particolarmente precarie come chi ha subito un trapianto, chi soffre di immunodeficienza o chi è in dialisi, mentre la dose booster a chi è in una condizione di fragilità o a rischio per il lavoro, operatori sanitari su tutti.

Il Ministero ha dunque deciso, seguendo il parere del Cts, di iniziare a somministrare la dose addizionale nei soggetti trapiantati e immunocompromessi, mentre per la dose booster si procederà a gruppi target che evolveranno nel tempo. In tutti i casi comunque si useranno esclusivamente i vaccini a mRna, in particolar modo Pfizer per chi ha più di 12 anni e Moderna per chi ne ha più di 18. Un’altra differenza sta nelle tempistiche della somministrazione: la dose addizionale sarà somministrata non prima di 28 giorni dalla seconda dose, mentre la dose booster dopo almeno sei mesi dalla dose precedente.

 

La protezione cala?

L’efficacia dei vaccini in Italia è tutt’ora molto alta, in particolar modo per quanto riguarda la protezione dalle forme gravi della Covid-19, andando ad abbattere (ma non azzerare) il rischio di essere ricoverati o di morire.

Ci sono tuttavia diversi segnali che indicano che la protezione contro l’infezione apportata dai vaccini diminuisca nel tempo. Inizialmente questi dati sono arrivati da Israele, ma poi diversi altri studi hanno confermato il fenomeno, seppur con intensità diversa.

La scorsa settimana sono stati pubblicati, a tal proposito, nuovi dati dalla Public Health England (Phe): lo studio condotto dalla Phe mostra che la protezione contro l’infezione sintomatica cala per tutti i vaccini in modo diverso. Pfizer si rivela sensibilmente più efficace di AstraZeneca, ma Moderna fa anche meglio di Pfizer (sebbene le stime siano incerte a causa del basso numero di somministrazioni dello stesso). In ogni caso, il calo della protezione si verifica in tutte le classi di età, ma tra chi ha più di 65 anni è sensibilmente maggiore: dopo 20 settimane la protezione scende infatti al 55% per gli over 65 e al 76% per le persone tra i 44 e i 64 anni.

La ricerca evidenzia anche come l’intervallo della somministrazione delle due dosi cambia il livello di protezione. Concentrandosi su chi ha più di 80 anni, una seconda dose dopo otto settimane è più efficace di una dopo quattro settimane per Pfizer. In Italia la seconda dose è stata somministrata inizialmente dopo tre settimane e poi i tempi sono stati allungati anche fino a sei settimane.

 

Passando alla protezione contro l’ospedalizzazione, si vede che è questa è molto più alta di quella contro l’infezione sia per i vaccinati con AstraZeneca sia per i vaccinati con Pfizer. Anche in questo caso il vaccino a mRna si dimostra più efficace, ma le differenze sono minori rispetto a prima. In ogni caso, anche in questa situazione si evidenzia un calo nel tempo, in particolar modo per i più anziani.

 

Per quanto riguarda la protezione dal decesso, invece, il calo è minimo per Pfizer e modesto per AstraZeneca, che dopo cinque mesi protegge ancora all’80%. Anche in questo caso c’è molta incertezza sulle stime. 

 

Va comunque tenuto a mente che quando la protezione iniziale è alta, un piccolo cambiamento può avere grandi effetti: se si verificano 100 decessi quando l’efficacia è stimata al 95%, se questa poi scende al 90% ci attendiamo 200 decessi a parità di circolazione virale.  

I dati britannici mostrano quindi che non tutti sembrerebbero avere bisogno di una dose in più di vaccino: per i più giovani e gli over 65 in buona salute la protezione data dai vaccini è ancora molto alta, ma per chi è in gravi condizioni di salute una dose aggiuntiva può fare la differenza

 

La dose aggiuntiva funziona?

L’unico paese che ha già somministrato un alto numero di terze dosi è Israele, che ha deciso che tutti potranno riceverla. Un terzo della popolazione infatti ha già ricevuto la dose booster e gli effetti si stanno vedendo, in particolar modo per quanto riguarda la protezione dall’infezione.

Quello che emerge dai dati israeliani è che i non vaccinati e i vaccinati con due dosi hanno un’incidenza di nuovi casi sensibilmente maggiore rispetto a chi ha ricevuto il booster. Per quanto riguarda i casi severi e i decessi le due dosi proteggono invece ancora bene, ma chi ha ricevuto la terza dose ha visto praticamente azzerata ogni possibilità di sviluppare la malattia grave.

Secondo Pfizer, i dati mostrano che la dose booster riporta l’efficacia del vaccino al 95%, ovvero il livello inizialmente mostrato dagli studi che portarono all’originaria approvazione del vaccino.

Lorenzo Ruffino

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