Non c’è due senza tre. Il primo ministro uscente e leader del Partito Liberale Justin Trudeau ha vinto le elezioni federali in Canada. Per il politico 49enne si tratta del terzo mandato consecutivo, arrivato in seguito all’inaspettata convocazione, in piena estate, delle elezioni anticipate.
Dopo la sontuosa vittoria del 2015 che gli consegnò la maggioranza assoluta (l’ultima volta in cui un partito canadese sia riuscito a prendere più del 40% dei voti), nel 2019 Trudeau rischiò non solo di perdere il potere in Parlamento, ma di non venire neppure eletto. Alla fine però neppure gli scandali che lo hanno coinvolto furono sufficienti a fermarlo, e alla fine a perdere quell’elezione furono non tanto i Liberali quanto i Conservatori guidati da Andrew Scheer, incapaci di convertire la palpabile frustrazione verso Trudeau in voti per il loro partito. E anche stavolta, pur senza magistrali colpi di coda come due anni fa, il risultato ha premiato l’esecutivo uscente.
I Liberali hanno conquistato 158 seggi (uno in più rispetto al 2019), mentre i Conservatori si sono fermati a 119. I regionalisti del Bloc Québécois si confermano terzo partito con 34 eletti, 2 in più dell’ultima volta. Continua la discesa dei New Democrats di Jagmeet Singh, con solo 25 deputati e ormai lontanissimi dagli anni d’oro dell’Orange Wave di Jack Layton, il primo e – finora – ultimo leader dell’NDP a divenire capo dell’opposizione nel 2011. Risultato disastroso per i Verdi: basti pensare che la leader Annamie Paul è arrivata quarta nel seggio in cui si è presentata e che il loro risultato elettorale è il peggiore dal 2000. Un risultato assai deludente ma che ha comunque permesso loro di eleggere due deputati alla Camera dei Comuni.
Un unico scenario: governo di minoranza
Le 44esime elezioni federali canadesi sono terminate esattamente come le 43esime. Justin Trudeau è diventato l’ottavo Primo ministro canadese eletto per la terza volta, un record che condivide con il padre Pierre, ma anche con il suo predecessore, Stephen Harper. Tuttavia, l’esito della consultazione elettorale non è stato quello che il capo del governo canadese si aspettava: convocate perché avrebbero dovuto ampliare il peso del suo partito a Ottawa, queste elezioni si sono invece trasformate in un potenziale canto del cigno. Chantal Hebert, sulle colonne del Toronto Star, preannuncia già la fine della carriera politica del rampollo di casa Trudeau, fine che secondo la giornalista canadese dovrebbe arrivare già nel corso del suo terzo mandato, con un passo indietro prima delle prossime elezioni.
L’unico scenario che appare dunque verosimile è quello di un governo di minoranza, l’undicesimo nella storia del Paese e il secondo consecutivo a trazione liberale. Un esecutivo dipendente dai voti dei gruppi minori, in questo caso il Bloc Québécois e il New Democratic Party, due forze di centrosinistra che non dovrebbero ostacolare l’agenda governativa, perlomeno in un primo momento: i primi chiedono al governo di non intervenire sulle controverse leggi del Québec sui simboli religiosi (pur condividendo le proposte sulla riconversione ecologica dell’economia), mentre i secondi propongono nuove tasse sui più ricchi e il miglioramento dell’assistenza sanitaria.
Non esiste invece una storia di governi di coalizione in Canada, considerati una rarità, se non addirittura innaturali, nelle democrazie maggioritarie anglosassoni. Nella storia del Grande Nord si è formato un solo governo di coalizione, durante la Prima guerra mondiale. Le frizioni non mancarono neppure allora e per altri cento anni i canadesi hanno eletto solamente monocolore liberali o conservatori, talvolta sperimentando governi di minoranza, ma mai più di larghe intese.
Nel 2008 democratici e liberali sfiorarono l’accordo per destituire il governo di minoranza di Harper, ma dopo incessanti mesi di trattative e tumulti che portarono alle dimissioni del leader del LPC Stéphane Dion fu il suo successore Michael Ignatieff a chiudere i negoziati per riaprirli con i conservatori, votando a favore della legge di bilancio e scongiurando così una lunghissima crisi parlamentare. Movimenti che, per certi versi, ricordano quelli che si verificano all’interno dei sistemi elettorali proporzionali come quello italiano, anche perché avvenuti sotto la supervisione di una figura terza e istituzionale, il Governatore Generale.
Curiosamente, durante la sua prima campagna elettorale del 2015, un giovane e ambizioso Trudeau aveva sposato l’idea di una legge elettorale proporzionale, guadagnando anche i consensi degli altri partiti. La commissione che avrebbe dovuto formulare un nuovo sistema elettorale si è però rivelata un fallimento totale e lo stesso Primo ministro ha quindi preferito lasciare immutata la situazione.
Il divario tra voto popolare e seggi nelle elezioni in Canada
Se soltanto pochi anni fa l’approvazione di una nuova riforma elettorale veniva decantata da Trudeau e soci come la panacea di tutti i mali del Canada, oggi è lo stesso sistema tanto criticato dal Premier ad avergli assicurato il successo. I conservatori sono usciti sconfitti nelle circoscrizioni chiave di alcune province decisive, eppure il numero totale di voti ottenuti supera di quasi un punto percentuale e mezzo quello dei liberali a livello federale.
I collegi del Canada sono concentrati in particolare nelle zone dell’Ontario e del Québec. In queste due regioni, storicamente le più progressiste della nazione, è sufficiente vincere nelle grandi città di Toronto, Montreal e Québec City – che pullulano di seggi sia blindati che altamente competitivi – per sperare di guadagnare una majority o una plurality. Toronto è dove Erin O’Toole pensava di poter recuperare i voti dei moderati e spodestare i liberali grazie anche al “fuoco amico” dell’NDP, ma purtroppo per lui il voto utile ha castigato il CPC (Conservative Party of Canada). In Québec invece si presentano tutti i candidati del Bloc Québécois, spina nel fianco dei partiti più grandi, in parallelo a quanto avviene in Scozia con gli indipendentisti dell’SNP.
Il metodo Winner-Takes-All negli uninominali garantisce quindi al candidato che ottiene un voto in più di tutti gli altri la sicurezza di essere eletto. Basta la maggioranza relativa, il che rende i distacchi irrilevanti. Per esempio in Alberta, nel Canada occidentale, i Conservatori hanno vinto anche stavolta almeno 30 dei 34 seggi in palio, non riuscendo comunque a replicare gli impressionanti gap del 2019 (+70%) e dovendosi limitare a scarti di oltre il 50 e il 60%, ridimensionati dal boom del People’s Party, capace di attirare i consensi della destra anti-lockdown, ma rimasto fuori dalla House of Commons con il 5% nel dato nazionale.
Nonostante queste apparenti distorsioni generate da un sistema elettorale che fino ad adesso è sempre stato generalmente accettato dai canadesi, la scommessa non è stata vinta: il Canada non avrà la governabilità che cercava, Trudeau è sopravvissuto, ma il contesto politico potrebbe improvvisamente evolversi nel nuovo decennio. Verso quale direzione saranno i partiti – e di conseguenza gli elettori – a stabilirlo.
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