Cosa hanno in comune le elezioni amministrative del 3 e 4 ottobre e le manifestazioni di piazza (sfociate, nel caso di Roma, in atti di violenza e vandalismo squadrista) di sabato 10 ottobre?
La risposta, in estrema sintesi, è racchiusa in questi termini: disaffezione, alienazione, antagonismo. Parole diverse, che esprimono concetti diversi e che descrivono fenomeni sociali differenti, ma che spesso si presentano insieme. E che, in questa particolare fase, sono accomunate da un ulteriore elemento: una connotazione politica prevalente.
Analizziamo uno per uno questi elementi, a cominciare da quello della bassa affluenza alle urne. Come si è detto da più parti, le elezioni amministrative hanno fatto segnare dei livelli record di astensionismo, in particolare nelle città più grandi. Qui bisogna innanzitutto fare una distinzione: se nelle 4 città più popolose (Roma, Milano, Napoli e Torino) l’affluenza è scesa sotto il 50%, nel totale dei 1.153 comuni essa si è mantenuta al di sopra di tale soglia, fermandosi poco sotto il 55%. Certo, anche sul piano aggregato c’è stato un calo rispetto al 2016 (del 6,9% per l’esattezza), ma si tratta di una partecipazione in linea con la tornata elettorale di un anno fa: il 20 e 21 settembre 2020, infatti, l’affluenza per il referendum costituzionale si fermò al 53,8% in tutta Italia, e anche nelle 6 regioni al voto in quegli stessi giorni non fu particolarmente più alta, oscillando dal 55% della Campania al 63% della Toscana. Singolare il dato della Calabria, andata anch’essa al voto il 3 e 4 ottobre per le regionali e che in quest’ultima occasione ha fatto registrare un’affluenza pressoché identica alle regionali precedenti, datate 26 gennaio 2020 (44,3% in entrambi i casi).
Tutte queste tornate recenti (regionali 2020, referendum costituzionale, amministrative 2021) sono accomunate dal fatto di essersi svolte in periodi diversi da quelli tradizionalmente previsti per le consultazioni elettorali, che infatti di norma si tengono nel periodo primaverile. E così abbiamo un primo “indiziato” per questa partecipazione così bassa.
L’altro “indiziato” è il timore per il contagio da Covid-19, visto che la pandemia non è ancora alle nostre spalle, come dimostrano le migliaia di contagiati che continuano a registrarsi quotidianamente in Italia. Eppure, proprio il confronto tra le ultime due regionali calabresi – con la prima che si è svolta nel gennaio 2020, proprio alla vigilia dei primi allarmi sulla presenza del virus nel nostro Paese – ci induce a ritenere non molto fondato questo sospetto. Ma allora, quali sono le motivazioni dietro una partecipazione elettorale così bassa?
Una prima risposta ci viene da un sondaggio EMG, secondo cui la “colpa” della bassa affluenza sarebbe dei partiti, che non avrebbero risposto alle esigenze dei cittadini (53%) e che non avrebbero presentato “candidati all’altezza” (39%).
📊 Sondaggio EMG
Il principale motivo della bassa affluenza al primo turno delle amministrative? Per il 53% degli italiani sta nel fatto che i partiti negli ultimi anni non hanno risposto alle esigenze degli elettori. pic.twitter.com/ZVtqXimhxW
— YouTrend (@you_trend) October 7, 2021
Se si va a chiedere direttamente a chi si è astenuto quali siano state le motivazioni, come ha fatto SWG, il quadro non cambia molto: al netto di un astensionismo per così dire “obbligato” (il 27% che dichiara di non aver potuto fisicamente votare poiché troppo lontano dal suo seggio elettorale) le altre motivazioni sono tutte, a vario titolo, una forma di “denuncia” dell’inadeguatezza della politica: votare sarebbe “inutile”, la politica è poco interessante, addirittura quasi 1 astenuto su 9 dichiara di averlo fatto “per protesta”; un ulteriore 26% chiama invece in causa l’inadeguatezza dei candidati, o perché poco graditi (15%) o perché non in grado di fare proposte interessanti (11%).
🗳️ L’ astensione è dovuta soprattutto a questioni personali, all’idea che il voto non cambi nulla e allo scarso interesse per la politica #elezioniamministrative2021 #Elezionicomunali2021 pic.twitter.com/ALmV4G8yfA
— SWG (@swg_research) October 12, 2021
Il tema dei candidati risulta particolarmente sentito dagli elettori di centrodestra delle 4 principali città, la maggioranza dei quali – intervistati da Demopolis – dichiara che il risultato al di sotto delle aspettative sarebbe da attribuirsi proprio alla scelta, peraltro “tardiva”, di candidati poco conosciuti (la pensa così il 53% di questo particolare campione). E proprio questo sondaggio introduce un primo indizio verso quella che potremmo definire la “connotazione della disaffezione”.
Il secondo indizio ci arriva direttamente dall’analisi dei flussi elettorali, in modo diretto o indiretto. Su Roma, ad esempio, non disponiamo ancora dei dati di sezione su cui basare questa analisi, ma possiamo facilmente constatare, confrontando la tenuta dell’affluenza nei diversi municipi, che rispetto al 2016 la partecipazione ha sostanzialmente tenuto nelle zone più centrali della Capitale, mentre è crollata nelle zone periferiche che 5 anni fa erano state essenziali per il successo di Virginia Raggi (e che al primo turno ottenne oltre il 35% dei consensi), come ha notato fin dai dati parziali di domenica sera il nostro Giovanni Forti.
Di nuovo: mani avanti. Magari non vuol dire nulla!
Ma alle 19 la correlazione negativa fra calo relativo dell’affluenza [calo = (2021-2016)/2016] e voti al 1° turno per Raggi nel 2016 si è addirittura *rafforzata*.
Con il dato delle 12 R^2 = 0,80, con quello delle 19 R^2 = 0,90. pic.twitter.com/CpLLnh1tSY— Giovanni Naso Forti (@Naso29) October 3, 2021
Il sospetto che l’affluenza alle urne sia stata disertata in modo particolare dagli (ex) elettori del Movimento 5 Stelle è rafforzato dall’analisi sui flussi che siamo stati in grado di realizzare (basandoci sui dati di sezione) sia a Napoli che a Torino. Anche nel capoluogo piemontese, così come a Roma, sembra infatti che chi nel 2016 votò per la candidata sindaca del M5S abbia scelto, in quest’occasione, di astenersi.
Su Napoli il confronto è invece con le europee 2019, in occasione delle quali il Movimento sfiorò il 40% dei consensi. Anche in questo caso vediamo come un pezzo consistente – in effetti, il più consistente – degli ex elettori grillini questa volta abbia scelto di astenersi, piuttosto che votare per uno dei candidati sindaco (quello sostenuto ufficialmente dal M5S – Manfredi – o quello espressione dei “dissidenti” – cioè Brambilla).
L’astensione è stata, dunque, asimmetrica, colpendo maggiormente alcuni elettorati e meno altri. Tuttavia, questo non rappresenta del tutto una novità: in Italia, soprattutto negli ultimi anni, la diminuzione della partecipazione si è accompagnata a una sempre maggiore volatilità elettorale. In altre parole, si va a votare sempre di meno, e chi ci va tende a cambiare partito da un’elezione all’altra più facilmente che in passato. In questo contesto, quello verso l’astensione non è un viaggio “di sola andata”, bensì – spesso – un passaggio intermedio nell’ambito del cambiamento nel proprio comportamento elettorale. Nel bacino degli astenuti quindi non si trovano solo cittadini disillusi o disinteressati, ma anche elettori delusi dall’offerta politica del momento che potrebbero in seguito “riattivarsi” in presenza di un’offerta elettorale diversa, magari in occasione di un’elezione ritenuta più “decisiva” (è quello che avviene ad esempio alle politiche, che da sempre sono la tipologia di elezione in cui si registrano i tassi di partecipazione più alti). E il fatto che proprio la delusione fosse un sentimento diffuso tra gli ex elettori M5S (soprattutto a Roma e Torino) e tra quelli del centrodestra (in relazione alle candidature proposte) è un dato che emerge, come abbiamo visto, in diversi sondaggi.
Centrodestra e – soprattutto – M5S sembrano dunque essere i due “bacini” di provenienza dei due principali affluenti del grande bacino dell’astensione. Questo sul piano più strettamente politico-elettorale. Sul piano sociale, invece, si riscontra una disaffezione maggiore nelle periferie e tra le fasce sociali meno istruite: a Roma, a Milano e a Napoli, secondo SWG, gli astenuti sono in numero nettamente maggiore (intorno al 60%) tra chi possiede titoli di studio inferiori.
Alla prova del voto, tra No-Vax e No-Green pass
Come già accennato, nell’analisi del quadro politico emerso dalle amministrative non si può non tenere conto delle contingenze sociali che stanno tenendo banco nell’ultimo periodo, prima fra tutte l’opposizione al decreto che impone l’obbligo del Green pass per 23 milioni di lavoratori italiani e che entrerà in vigore dal 15 ottobre. Una protesta disordinata ma concreta, e che attraverso il suo antagonismo politico può fornire un ulteriore tassello per comprendere il legame tra una parte di società in fibrillazione e il recente responso delle urne.
In ogni caso, il primo dato da avere bene in mente quando parliamo di No-Vax e No-Green pass è la loro consistenza numerica tra i cittadini. Va tenuto conto, innanzitutto, che i No-Vax costituiscono una netta minoranza della popolazione: basti pensare che oltre l’80% degli over 12 ha ricevuto almeno una dose di vaccino, e se si considera che ci sono anche delle persone che non si possono vaccinare per ragioni sanitarie, capiamo bene che quelli che ad oggi non si sono ancora vaccinati perché non vogliono farlo sono davvero una piccola minoranza, la cui risonanza mediatica si sta dimostrando però tutt’altro che irrilevante nel dibattito pubblico.
Ma cosa ne pensano gli italiani del provvedimento voluto dal Governo Draghi? La risposta, che ci fornisce i mezzi per poter stimare la consistenza dei No-Green pass, arriva da un sondaggio Ixè, che ha misurato l’evoluzione nel tempo del consenso nei confronti di questa misura da parte degli italiani.
Ebbene, secondo il sondaggio Ixè, già a settembre i favorevoli all’estensione del Green pass (poi effettivamente esteso) erano il 76%, contro il 18% di contrari, con percentuali simili che si riscontravano anche relativamente all’ipotesi di obbligo vaccinale (più del 60% di favorevoli secondo vari istituti). Ad oggi, nonostante un intensificarsi del dibattito e un numero crescente di manifestazioni di protesta, un sondaggio SWG realizzato pochi giorni fa ci dice che resta ancora nettamente maggioritaria (65%) la quota di italiani favorevole all’obbligo di Green pass per i lavoratori.
📊 Sondaggio @swg_research per il @TgLa7
Obbligo di Green pass per tutti i lavoratori pubblici e privati: quasi 2 italiani su 3 (65%) si dicono favorevoli, mentre 1 su 4 (25%) si dice contrario
— YouTrend (@you_trend) October 11, 2021
Si è molto parlato della “matrice” delle violenze durante la manifestazione No-Green pass a Roma: ovviamente i sondaggi non ci forniscono indizi relativamente allo schieramento politico dei violenti, ma non c’è dubbio che i contrari al Green pass siano decisamente più numerosi tra chi si sente di destra: il già citato sondaggio Ixè ci dice che tra chi si auto-colloca a destra i contrari al Green pass sono molto più numerosi che tra gli altri elettorati (sebbene, va detto, i No-Green pass non rappresentino la maggioranza assoluta nemmeno tra gli elettori di destra). In altre inchieste, inoltre, abbiamo visto come le percentuali maggiori di “scettici” verso il Green pass – e persino verso il vaccino in generale – si ritrovino negli elettorati di Lega e Fratelli d’Italia, ossia proprio i due partiti che siedono nella parte più a destra dell’emiciclo parlamentare.
L’astensionismo da record, una somma di diversi fattori
Quello che emerge è quindi l’esistenza di presupposti per una nuova frattura sociale (e politica) legata al tema dell’obbligo del Green pass per i lavoratori: i contrari al provvedimento sono un numero relativamente esiguo di cittadini, orientati prevalentemente a destra, e il cui (non) comportamento elettorale potrebbe essere emerso già in occasione del primo turno delle elezioni amministrative. Questa nuova frattura, tuttavia, si inserisce nel già complesso quadro di cleavage presenti nel nostro Paese, i quali già da diversi anni hanno come effetto un allontanamento dall’arena politica di elettori connotati da basso ceto sociale e un alto livello di sfiducia verso la politica e le istituzioni: una buona parte di questi è tornata all’astensione dopo essere rimasta delusa dal Movimento 5 Stelle, mentre un’altra fetta di questa tipologia di elettori, maggiormente connotata a destra, si è per l’occasione “disattivata” complice dei candidati sindaci proposti non troppo convincenti, venendo facilitata in questo dalla connotazione secondaria delle elezioni locali, che sfavorisce l’urgenza nel dover esprimere una preferenza “a tutti i costi”.
In conclusione, per quanto si sia visto come tra i No-Green pass esista una componente “anarchica”, anti-sistema e non connotata ideologicamente, il quadro che ci viene fornito ci illustra tuttavia una situazione in cui l’atteggiamento di forte sfiducia verso gli strumenti intrapresi per contrastare il virus sia molto diffuso tra quegli elettori che si identificano nelle ideologie della destra radicale, i quali ora più che mai mostrano la loro disillusione e la loro scarsissima fiducia nelle istituzioni. Una categoria che, in queste elezioni amministrative, sembra aver creato una sorta di “saldatura” con i disaffezionati della politica di lungo corso, saldatura che si è tramutata in chiave elettorale in un astensionismo da record, specialmente nelle grandi città.
Commenta