Nell’ultima settimana in Italia c’è stata una ripresa del numero di casi dopo settimane di costante calo. L’aumento è stato attribuito principalmente alla decisione di imporre il Green Pass per lavorare, portando a una crescita del numero di tamponi effettuati, ma la questione potrebbe non essere così semplice.
Aumentano i casi, ambiguo il tasso di positività
Tra lunedì e domenica di questa settimana le regioni hanno notificato al Ministero della Salute 23.305 nuovi casi di positività al Sars-Cov-2, un dato in aumento di 5.600 unità rispetto alla settimana precedente e che costituisce il massimo livello da un mese a questa parte.
Se guardiamo al fattore settimanale di crescita, cioè al numero di casi rapportati a quello di sette giorni prima, vediamo che in media ne stiamo notificando fino al 30% in più. Il ritmo di crescita sta accelerando e domenica c’è stato il 50% di casi in più rispetto alla domenica precedente.
Il tasso di positività, cioè il numero di nuovi casi rispetto al numero di nuovi tamponi, è tornato a salire. La media settimanale del tasso di positività molecolare a ieri è del 3,1%, mentre domenica scorsa era al 2,4%. Quello antigenico, storicamente molto più basso del molecolare, è allo 0,07% in calo rispetto allo 0,11% di una settimana fa.
Quando c’è un aumento della circolazione del virus ci attendiamo un aumento sia del numero di casi sia del tasso di positività. In questo caso però è difficile capire cosa stia succedendo, perché se da un lato il tasso di positività molecolare è in crescita, dall’altro quello antigenico è in forte calo. Per ottenere il Green Pass infatti si fanno principalmente tamponi antigenici e nell’ultima settimana si è arrivati a picchi di 300-400 mila contro i 150-200 mila delle settimane precedenti.
A complicare la comprensione dei tassi di positività c’è il fatto che diverse regioni italiane richiedono una conferma con tampone molecolare dopo un tampone antigenico positivo. Infatti molte regioni riportano sempre zero tra i casi da tampone rapido nonostante ne segnalino diverse migliaia al giorno – uno dei motivi per cui il tasso di positività dei tamponi antigenici è sempre più basso.
L’aumento dei casi si sta comunque verificando in modo diverso tra le regioni. In Molise e Umbria i casi sono più che raddoppiati in una settimana, mentre in Puglia, Abruzzo, Marche, Trentino-Alto Adige, Lazio e Friuli Venezia Giulia sono cresciuti tra il 50% e il 100%. Con variazioni tra lo 0% e il 50% ci sono Lombardia, Liguria, Piemonte, Emilia Romagna, Campania, Sicilia, Toscana, Calabria e Veneto. Le uniche tre regioni dove i casi calano sono Sardegna, Basilicata e Valle d’Aosta.
In generale si vede come l’aumento stia colpendo tutte e quattro le macroaree che compongono l’Italia, ma in particolar modo il Nord-Est e il Centro. Il Nord-Ovest è quello dove si ha il minor aumento sebbene sia la zona dove i casi hanno iniziato a crescere prima.
Aumentano anche gli ingressi in terapia intensiva e i ricoveri
Un indicatore del fatto che è possibile che l’epidemia non stia crescendo solo per il maggior numero di test sta nel fatto che questa settimana si è osservato un aumento del numero di ingressi settimanali in terapia intensiva. Tra lunedì e domenica si sono infatti registrati 160 ingressi in terapia intensiva per Covid-19 contro i 127 della settimana passata e i 134 di quella precedente. Bisogna quindi tornare a tre settimane fa per averne di più (165).
Utilizzando i dati forniti dall’Istituto superiore di sanità possiamo anche vedere come stanno evolvendo i nuovi ricoveri nei reparti. Questi dati, a differenza di quelli diffusi dalla Protezione civile, sono riportati per data di avvenimento dell’evento e sono quindi meno influenzati dai ritardi; allo stesso tempo però ci mettono del tempo a consolidarsi. Gli ultimi giorni sono quindi da considerarsi con dati provvisori in quanto saranno rivisti al rialzo, anche se in ogni caso possiamo vedere come il 14 ottobre ci sia stata un’inversione di tendenza della media mobile settimanale.
Se il 14 ottobre i ricoveri sono tornati a crescere e considerando cinque giorni tra quando ci si contagia e i sintomi e altri tre o cinque giorni per essere ospedalizzati, vuol dire che queste persone si sono contagiate a inizio ottobre. Se così fosse vorrebbe dire che siamo di fronte a una ripresa della circolazione virale e che l’aumento dei casi non è semplicemente dovuto all’aumento del numero di test.
Come va l’indice Rt
Infine, guardiamo l’evoluzione dell’indice di riproduzione effettiva Rt. Si tratta di un indicatore che quando è sopra 1 ci dice che l’epidemia è in crescita e che quando è sotto 1 è in decrescita.
In Italia è calcolato dalla Fondazione Bruno Kessler, un ente di interesse pubblico che collabora con l’Iss, a partire dal numero di sintomatici per data di inizio dei sintomi. Questa scelta fu fatta per evitare che le politiche di testing che intercettano gli asintomatici lo influenzassero. Ad oggi, con dati ancora poco consolidati, vediamo che Rt è molto vicino a 1 e in crescita ed è quindi probabile che nei prossimi giorni con il consolidamento superi questa soglia.
Se guardiamo a Rt calcolato sui ricoveri e poi retrodatato di sette giorni, vediamo che questo era già sopra 1 nella prima metà di ottobre, cosa che lascia supporre che l’inizio dell’aumento dei casi si sia verificato a inizio mese.
Va considerato che in Italia Rt calcolato sui sintomi e Rt calcolato sui ricoveri si sono mossi tendenzialmente in modo molto simile per mesi. Quello calcolato sui sintomatici è più alto nel momento in cui il contagio si concentra tra i più giovani, per cui è molto meno probabile che sia necessario il ricovero in ospedale.
In conclusione
Valutare se siamo di fronte a una ripresa o meno dell’epidemia non è semplice, essendoci diversi fattori che confondono il quadro, ma è possibile che ci sia un aumento della circolazione virale considerando gli aumenti osservati tra i nuovi ricoveri e gli ingressi in terapia intensiva.
È comunque altamente improbabile che un’eventuale ripresa dei casi porti a una situazione come quella che si è avuta l’anno scorso. Adesso ci sono i vaccini e l’87% della popolazione vaccinabile in Italia ha ricevuto almeno una dose, mentre migliaia di persone over 80 stanno già ricevendo una dose aggiuntiva. I vaccini infatti prevengono la stragrande maggioranza delle forme gravi della Covid-19.
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