Come in Italia, anche negli Stati Uniti si tengono dei censimenti decennali: l’ultimo è del 2020. Oltre a contare quanti abitanti ci sono, quanto guadagnano, di che etnia sono, la loro età e una miriade di altre caratteristiche, il censimento porta alla ridefinizione dei collegi elettorali per la Camera dei Rappresentanti: ce ne sono 435, distribuiti tra gli Stati in maniera proporzionale alla loro popolazione, secondo il criterio che ciascuno ne abbia almeno uno. Il censimento decennale, infatti, serve sia a ridistribuire il numero di rappresentanti tra gli Stati, sia a ridefinire i confini dei collegi elettorali (o distretti) al loro interno. Questo perché cambia il numero di abitanti che ogni distretto deve avere – il distretto medio del decennio elettorale 2022-2032 avrà 761mila abitanti, in crescita rispetto ai 711mila del ciclo precedente.
Per quanto riguarda il primo aspetto, California, Illinois, Michigan, New York, Ohio, Pennsylvania, West Virginia perdono un seggio; Colorado, Florida, Montana, North Carolina, Oregon ne guadagnano uno; il Texas ne guadagna due. La situazione riflette (eccetto nel caso della California) un trend affermato da decenni, in cui gli Stati del Nordest e del Midwest perdono demograficamente terreno rispetto a quelli dell’Ovest e del Sud.
La stagione del redistricting è quindi arrivata per tutti – salvo per i 6 Stati che in ragione della loro popolazione eleggono un solo rappresentante alla Camera – e la battaglia per assicurare all’uno o all’altro partito il maggior numero di seggi sicuri è in pieno svolgimento. Il rischio di un “dirottamento” partigiano, il famoso gerrymandering, è onnipresente, poiché in buona parte dei casi il compito di ridisegnare i distretti è compito del parlamento statale, e stabilire il confine un po’ più in là o in po’ più in qua può avere enormi conseguenze in termini elettorali. Secondo la Costituzione, infatti, il controllo della materia elettorale è lasciato ai singoli Stati, mentre a livello federale sono stabiliti solo i principi cardine.
A livello federale, disegnare distretti che favoriscono in maniera evidente l’uno o l’altro partito non è illegale: la materia è infatti rimessa alle corti statali – salvo in caso di violazioni del Voting Rights Act, che prevede la creazione di minority opportunity district, cioè di seggi che diano la possibilità alle minoranze di eleggere membri della propria comunità, e vieta discriminazione su base etnica nella definizione dei distretti.
Per quanto riguarda le modalità di definizione dei confini dei collegi, ad oggi il 43% dei seggi viene disegnato in Stati (20) dove il processo è sotto il controllo dei Repubblicani, il 17% dove questo è in mano ai Democratici. In 9 Stati, maggioranze parlamentari diverse dal partito del governatore determinano una situazione in cui nessuno dei due partiti ha campo libero. Infine, in 10 Stati, soprattutto a trazione Dem, tale compito è delegato a commissioni indipendenti o bipartisan: in altri casi, come in Iowa e a New York, il ruolo delle commissioni è facilmente sovrastato dal parlamento statale, che di fatto mantiene il controllo del redistricting.
Nonostante l’evidente svantaggio di partenza per i Dem, si trovano in una posizione inaspettatamente buona. Per ora sono 33 gli Stati che hanno approvato le nuove mappe, tra cui anche California, Texas, New York e Illinois. All’appello mancano altri Stati con delegazioni rilevanti, tra cui Florida e Pennsylvania. A conti fatti, sono già stati stabiliti 322 distretti (compresi i 6 degli Stati con un singolo rappresentante), la cui suddivisione è descritta dal grafico. In generale si può trarre una prima conclusione: la tendenza è quella alla massimizzazione dei seggi sicuri per un partito, a spese soprattutto dei distretti molto competitivi: dieci anni fa gli stessi Stati che per ora hanno completato il processo di redistricting ne totalizzavano 8 in più, anche se affermare che il processo di redistricting sia stato completato non implica necessariamente che le mappe siano definitive: già due Stati, Ohio e North Carolina, hanno visto la loro mappa venire bocciata da un tribunale. Questo perché, in tutti e due i casi, avvantaggiavano troppo i Repubblicani. E in altri 7 Stati sono in corso delle cause.
North Carolina, Illinois, Ohio e New York: i regni del gerrymandering
Il North Carolina ha guadagnato un seggio secondo il censimento decennale, portando il totale dei suoi rappresentanti a 14. Nonostante questo, i Dem hanno perso due seggi sicuri, a fronte di un pari guadagno per il GOP, mentre il nuovo 14° distretto copre l’area montuosa occidentale dello Stato, favorevole ai Repubblicani. Al momento, la mappa prevede un vantaggio 10 a 3 per i Repubblicani, a cui si somma il 2° distretto che viene modificato in modo da diventare altamente competitivo, sebbene favorisca i Dem di poco (mantenendo una larga percentuale di afroamericani). L’intento di dissanguare il più possibile i Democratici è evidente osservando la città di Greensboro, nella cui contea (Guilford) Biden ha raccolto quasi il 61% dei voti: da essere tutta unita all’interno dell’ex 6° distretto nella mappa precedente, infatti, tale città è stata smembrata e amalgamata con tre distretti rurali, in modo da neutralizzare la sua componente progressista fondendola con il solido voto conservatore delle campagne.
Questo accade in uno Stato dove un anno e mezzo fa Trump ha vinto, certo, ma con il 49,9% dei voti contro il 48,6% di Biden, e dove i Dem hanno vinto il voto popolare alle elezioni per la Camera, conquistando due seggi. Questo non vuol dire che debbano avere un vantaggio, ma che si è di fronte a una situazione paradossale se a fronte di una sostanziale parità nei consensi uno dei due partiti ha la possibilità di vincere al massimo 4 seggi su 14. La Corte Suprema statale, come aveva già fatto nel 2019, ha invalidato la mappa su basi di incostituzionalità.
In Ohio, dove la nuova mappa era già stata approvata, i Dem si sarebbero ritrovati con in mano due distretti su 15, e la possibilità di vincere due seggi altamente competitivi al momento in mano a due Repubblicani. Tutto ciò in uno Stato dove i Dem nel 2020 hanno ottenuto il 45,2% dei voti alle presidenziali e il 42,5% alla camera.
Anche qui, la Corte Suprema statale ha rigettato la mappa sulla base della violazione di una norma che impone di rispettare l’equità dei partiti nelle nuove mappe. Tale misura era stata inserita nella Costituzione statale all’indomani di un referendum approvato nel 2018. Tra le osservazioni della Corte si fa riferimento, tra le altre, alla divisione in tre della contea di Hamilton, dove si trova Cincinnati e dove Biden aveva preso il 57%. Lo speaker della Camera statale ha dichiarato che non è possibile trovare un accordo tra i partiti, affidando quindi la responsabilità a una commissione bipartisan che, con ogni probabilità, dovrà concludere i suoi lavori entro metà marzo.
In Illinois e a New York la situazione è simile ma a ruoli opposti. Per rivalersi sulle mappe svantaggiose per il proprio partito in altri Stati, qui il controllo saldo da parte dei Dem sul processo di redistricting ha portato a livelli estremi il gerrymandering. Nel primo Stato, i parlamentari hanno assicurato 13 distretti ai Dem su 17 totali, lasciandone solo 3 sicuri ai Repubblicani, mentre uno è altamente competitivo. Per ottenere questo risultato, ci sono ora distretti dalle forme più strane in modo da diluire il più possibile i voti che il GOP ottiene nelle campagne: basti osservare la forma del nuovo 13° distretto, che si snoda a zigzag tra le campagne meridionali per raggruppare assieme i voti democratici di Springfield, i sobborghi che guardano Saint Louis da oltre il confine statale e l’area di Urbana/Champaign, sede della University of Illinois.
Nello Stato di New York sono stati lasciati 4 distretti su 26 ai Repubblicani, più due altamente competitivi occupati oggi dai Dem. A Long Island, alle porte di New York, i voti Repubblicani sono stati concentrati in un unico distretto, mentre Staten Island, l’unico borough a tendenza repubblicana della città, vede la propria componente conservatrice diluita attraverso la ridefinizione dei confini dell’11° distretto, che ora si spinge fino alla zona centrale di Brooklyn, decisamente Dem. Ma il vero condannato è John Katko, repubblicano del 24° distretto: trasferito nel 22° a causa dello spostamento geografico dei confini, si ritrova in una circoscrizione nettamente più Dem.
Altri casi notevoli
Oltre ai casi appena visti, ce ne sono altri degni di nota che riguardano spesso l’intervento mirato su un distretto. Per esempio, in Tennessee i Repubblicani hanno pensato che controllare 7 seggi su 9 non era abbastanza: hanno così deciso di spezzare in tre la città di Nashville, in modo da diluirne la componente progressista. Ai Dem, nonostante rappresentino il 35-40% dell’elettorato, resterà così con in mano un solo seggio.
In Georgia, per combattere la tendenza a sinistra dei sobborghi di Atlanta, la nuova mappa modifica completamente il 6° e il 7° distretto, creandone rispettivamente uno fortemente Repubblicano e uno Democratico, costringendo le due rappresentanti Dem McBath (dell’ex 6°) e Bourdeaux (dell’ex 7°) a primarie sanguinose. La mappa è comunque in attesa di giudizio su molteplici fronti.
In Texas i Repubblicani sembrano a prima vista essersi astenuti da un gerrymandering selvaggio, ma dietro il velo si scopre che, senza toccare gli incumbent, hanno congelato la situazione attuale, eliminando la possibilità di accrescere l’influenza dell’uno o dell’altro partito. Incumbent condannati invece si trovano in Virginia e Arizona, dove le commissioni indipendenti hanno reso più “rossi” due seggi occupati da altrettante rappresentanti Dem. In Oregon i democratici non hanno perso l’occasione per cementare la situazione attuale, spostando a sinistra il 3° distretto (già nelle loro mani) e assicurandosi il 6°, appena nato. In New Mexico il parlamento a maggioranza Dem ha deciso di rischiare, creando due distretti altamente competitivi (a tendenza comunque Dem) e uno in cui sono in vantaggio i Democratici, soppiantando la situazione precedente 2D vs 1R. Strategia simile in Nevada: al posto di un seggio sicuro per ciascun partito più due competitivi, troviamo ora l’area metropolitana di Las Vegas spezzata in tre – una mossa davvero rischiosa per i Dem. Il tutto per rendere un po’ più appetibili per i Democratici i seggi nella zona centrale e settentrionale dello Stato.
Il caso dell’Alabama
Anche l’Alabama aveva approvato la sua nuova mappa, che non prevedeva cambiamenti significativi: come da tradizione, ai Dem era stato riservato un seggio su sette, raggruppante le zone afroamericane di Montgomery, Birmingham e le campagne a maggioranza nera della zona sudorientale. I restanti sei seggi erano, come sempre, saldamente in mano al GOP.
Tuttavia, una corte distrettuale federale ha bocciato la mappa sulla base della violazione del Voting Rights Act: la popolazione afroamericana, essendo pari al 27% dell’elettorato, ha diritto a un seggio in più. Mentre si stava disegnando una nuova mappa, lo Stato ha fatto ricorso alla Corte Suprema (federale) in una causa che gli si potrebbe rivoltare contro: se infatti quest’ultima desse ragione alla corte distrettuale, creerebbe un precedente molto influente anche per simili cause in altri Stati, come in Louisiana, dove si vota con una mappa praticamente identica a quella dell’Alabama. Il caso ha quindi implicazioni enormi poiché la Corte potrebbe esprimersi direttamente sulla costituzionalità della legge in toto. Per il momento, in ogni caso, è stato imposto il temporaneo mantenimento della mappa fino a che il caso non verrà esaminato con tutte le tempistiche normali: una decisione non verrà presa prima delle elezioni di quest’anno.
I virtuosi: Michigan e Colorado
Due Stati si sono distinti invece per le loro mappe bilanciate. Il Michigan, uno degli Stati decisivi degli ultimi cicli elettorali, si è dotato di una commissione indipendente composta di cittadini che non solo ha disegnato la mappa, ma l’ha anche approvata, senza passare attraverso il parlamento statale e il governatore. La nuova mappa ha ricevuto punteggi quasi perfetti negli indicatori di imparzialità: ad esempio, l’efficiency gap, che indica la percentuali dei “voti buttati” per partito (cioè che non contribuiscono alla vittoria di un candidato) è pari a 0. Il seggio mediano, inoltre, è solo 2,1% più repubblicano dello Stato nella sua interezza, una quasi-congruenza rara da trovare. La nuova mappa, inoltre, corregge quello che nella precedente era un indubbio vantaggio per i Repubblicani, togliendo loro due seggi sicuri e sostituendoli con uno altamente competitivo (l’altro è stato eliminato, dal momento che il Michigan ha perso un seggio con il censimento).
Anche in Colorado c’è una commissione indipendente che ha disegnato una mappa molto equa – sebbene gruppi di pressione ispanici abbiano lamentato la mancanza di un distretto a loro riservato. L’unico cambiamento di rilievo è stata la creazione del nuovo 8° distretto, altamente competitivo, nato dal guadagno di un seggio a seguito del censimento. Semmai, questo nuovo distretto diventerà uno dei più importanti distretti del Paese per misurare la competitività dei due partiti nella mobilitazione: la popolazione, infatti, da un lato è composta per il 44% da minoranze, tendenzialmente favorevoli ai Democratici (anche se un discorso a sé meriterebbe il caso dei latinos), ma dall’altro è distribuita tra estremi sobborghi dell’area di Denver e zone rurali inframmezzate da città di medie dimensioni, cioè in un campo tendenzialmente favorevole ai Repubblicani.
Tra cause in corso, probabili cause future e nuove mappe in elaborazione, le prossime settimane i prossimi mesi saranno densi di novità. La “fine” vera e propria del redistricting non è univoca, poiché anche qui ci si basa sulle leggi statali. La scadenza più lontana ce l’ha la Louisiana: il 22 luglio, quando gli altri avranno già svolto le primarie (è anche vero che lì le primarie non si tengono: c’è una jungle primary all’election day). Ma il ricorso a cause legali può ovunque allungare notevolmente i tempi.
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