Il 25 settembre alle elezioni in Italia si voterà per la seconda volta con il Rosatellum. Negli ultimi vent’anni le leggi elettorali sono cambiate diverse volte nel nostro Paese, modificando profondamente il sistema di distribuzione dei seggi. Negli altri grandi Stati europei, invece, questo non è accaduto.
Le diverse leggi elettorali
Dal 2000 in poi in Italia si sono tenute cinque elezioni con tre leggi elettorali diverse. Quella del 2001 fu infatti l’ultima elezione in cui si votò con il Mattarellum, mentre nel 2006, 2008 e 2013 si votò con il Porcellum e nel 2018 con il Rosatellum.
Il Mattarellum fu la legge elettorale che nel 1993 sostituì il proporzionale che aveva dominato la Prima Repubblica dal dopoguerra in poi. La legge Mattarella, dal nome del suo principale relatore Sergio Mattarella, prevedeva che il 75 per cento dei seggi di Camera e Senato fosse assegnato con un sistema maggioritario a turno unico in collegi uninominali, mentre il restante 25 per cento veniva assegnato attraverso un meccanismo proporzionale tutt’altro che di immediata comprensione: in sintesi, si sottraeva dal conteggio dei voti di una lista nella parte proporzionale i voti ottenuti dai candidati che erano eletti nei collegi uninominali (il cosiddetto “scorporo”). L’assegnazione dei seggi al Senato era regionale, mentre alla Camera nazionale con uno sbarramento al 4 per cento.
L’idea alla base della legge era quella di spingere il sistema politico al bipolarismo, obbligando i partiti a formare coalizioni che fossero abbastanza forti da eleggere i propri candidati nei collegi uninominali. Le tre legislature elette con il Mattarellum, effettivamente, registrarono un minor numero di gruppi parlamentari sia rispetto alle precedenti che alle successive.
Il Mattarellum fu abrogato nel 2005 in favore della legge Calderoli, meglio conosciuta come Porcellum. La legge, approvata con i voti del centrodestra, introdusse un sistema proporzionale con un premio di maggioranza e senza la possibilità di esprimere le preferenze.
Il Porcellum prevedeva che alla Camera la coalizione con la maggioranza dei voti su base nazionale avesse in automatico 340 seggi su 600, mentre al Senato in ogni regione veniva attribuito il 55 per cento dei seggi di quella regione alla prima lista. Se quindi la maggioranza era certa alla Camera, lo era meno al Senato, dove invece dipendeva dagli schieramenti vincenti nelle singole regioni. Questo fu il motivo per cui il centrosinistra non ottenne la maggioranza a Palazzo Madama nel 2013, fermandosi a 123 senatori su 315.
Nel dicembre del 2013, la Corte Costituzionale dichiarò incostituzionale il sistema con cui veniva attribuito il premio di maggioranza, in quanto indipendente dal raggiungimento di una soglia minima. La Consulta ritenne problematico anche il fatto che i listini erano molto lunghi e per l’elettorato non era possibile sapere chi sarebbe stato eletto.
Nel 2015 l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi decise di cambiare sistema elettorale facendo approvare l’Italicum. Questa legge era un proporzionale con sbarramento al 3 per cento e premio di maggioranza di 340 seggi alla lista in grado di ottenere il 40 per cento dei voti. Nel caso in cui nessuna lista fosse arrivata a questa soglia, si sarebbe tenuto un ballottaggio tra le due liste più votate. L’Italicum riguardava solo l’elezione della Camera, in quanto il Senato – nel disegno del governo Renzi – non sarebbe più stato eletto direttamente dai cittadini: tuttavia, nel 2016 la modifica della Costituzione fu respinta al referendum da sei elettori su dieci, anche se la legge elettorale era comunque già stata approvata.
Nel 2017 la Corte Costituzionale si espresse nuovamente sulla legge elettorale voluta da Renzi, ritenendo incostituzionale il ballottaggio tra le due liste più votate e il sistema con cui i capolista pluricandidati potevano scegliere il collegio in caso di elezione in più collegi. A questo punto, al Senato c’era ancora il sistema proporzionale in vigore con la sentenza del 2013, mentre alla Camera c’era un proporzionale con premio di maggioranza solo nel caso in cui una lista fosse arrivata al 40 per cento dei voti.
Nel novembre 2017 il Parlamento ha approvato, con i voti di centrosinistra e centrodestra, la legge Rosato, la quale prevede che un terzo del Parlamento sia eletto con sistema maggioritario e due terzi con sistema proporzionale, con sbarramento al 3 per cento su base nazionale. Le liste possono coalizzarsi tra loro: se una ottene tra l’1 e il 3 per cento, allora nella parte proporzionale non elegge parlamentari, ma i suoi voti si sommano comunque alle altre liste della coalizione che hanno superato il 3 per cento. Sotto l’1 per cento, invece, i voti sono persi: l’obiettivo è disincentivare le cosiddette liste civetta. Un’importante caratteristica della legge elettorale risiede nel fatto che, sebbene preveda una quota maggioritaria, viene fornita una sola scheda per la Camera e una sola per il Senato e non è possibile operare voto disgiunto tra parte maggioritaria e parte proporzionale: in altri termini, è nullo il voto per un candidato uninominale e una lista se tra loro non sono collegati.
La legge ha un considerevole meccanismo maggioritario che quest’anno sta chiaramente emergendo nelle simulazioni a favore del centrodestra. Nel 2018 quest effetto era stato mitigato dalla distribuzione tripolare dei voti e dalla disomogeneità territoriale del voto, con il centrodestra forte al Nord e il Movimento 5 Stelle nel Mezzogiorno.
Come si vota negli altri grandi paesi europei
Il Regno Unito utilizza un sistema uninominale a turno unico, il cosiddetto first-past-the-post, e non ha mai cambiato sistema. Negli ultimi anni è stato criticato per i problemi di rappresentanza che pone: nel 2019, ad esempio, i Liberal Democrats hanno preso solo il 2 per cento dei seggi a fronte dell’11 per cento di consensi, mentre lo Scottish National Party, un partito con i consensi concentrati solo in Scozia, è arrivato ad avere il 7,4 per cento dei deputati con solo il 3,9 per cento dei voti a livello nazionale.
In Francia per l’Assemblea Nazionale viene utilizzato un sistema uninominale a doppio turno. Per essere eletto al primo turno, un candidato deve ottenere la maggioranza assoluta dei voti espressi e i voti di almeno il 25 per cento degli aventi diritto nel proprio collegio elettorale. Nel caso in cui nessun candidato rispetti queste due condizioni, si procede al secondo turno, a cui accedono i candidati che hanno avuto almeno il 12,5 per cento dei voti – e nel caso in cui solo un candidato soddisfi quest’ultima condizione passano al secondo turno i candidati più votati. È quindi possibile che al secondo turno accedano anche più di due persone.
In Spagna, invece, il Congresso dei deputati viene eletto con un sistema proporzionale. Ciascuna delle cinquanta province spagnole è un collegio plurinominale che ha diritto ad eleggere almeno due deputati, mentre le città di Ceuta e Melilla eleggono un membro ciascuna. I seggi sono ripartiti con il metodo d’Hondt, sistema ideato dal matematico belga Victor d’Hondt nel 1899. Lo sbarramento nazionale è del 3 per cento, ma poi ci sono una serie di sbarramenti impliciti più alti a livello provinciale (perché le province non assegnano abbastanza seggi affinché tutti i partiti possano eleggere qualcuno) e i partiti maggiori vengono favoriti dal sistema elettorale.
Infine, in Germania per eleggere il Bundestag si utilizza un sistema complesso ma con effetti proporzionali. Ogni elettore infatti dispone di due voti. Il primo voto, Erststimme, viene utilizzato per il collegio uninominale, in quanto il territorio tedesco è infatti suddiviso in collegi uninominali e in ognuno di essi viene eletto deputato chi ottiene la maggioranza relativa (ed è quindi sostanzialmente identico alla parte maggioritaria del Rosatellum, con la differenza che in Germania non ci sono coalizioni di liste sulla scheda). Con il secondo voto, Zweitstimme, invece si esprime il voto proporzionale: con quest’ultimo i seggi del Bundestag vengono assegnati a ciascun partito con il metodo Sainte-Laguë e uno sbarramento al 5%. Ai partiti che ottengono complessivamente meno seggi rispetto al numero di secondi voti vengono assegnati ulteriori seggi per compensare questa differenza, mentre i partiti che ottengono più seggi rispetto alla loro quota nazionale di voti possono mantenere questi cosiddetti seggi in eccesso (Uberhangmandate). Il sistema porta quindi il Bundestag a superare costantemente i 598 seggi base: nel 2021 sono stati eletti 736 deputati e quattro anni prima 709.
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