Alle elezioni del 25 settembre circa un terzo dei parlamentari italiani sarà eletto all’interno di collegi uninominali. In questi 147 collegi alla Camera e 74 al Senato vige il sistema chiamato first-past-the-post: in sintesi, lo schieramento che ottiene anche un solo voto in più degli altri vince l’unico seggio in palio in quel collegio.
Un elemento fondamentale dei sistemi uninominali è che non conta solo quanti voti si ottengono, ma anche dove questi voti vengono presi. In un sistema uninominale raramente i voti corrispondono anche ai seggi, in quanto i risultati parlamentari dipendono anche dalla distribuzione dei voti a livello territoriale, da quanto sono concentrati e dalla forma dei collegi elettorali.
Questo tema è stato affrontato da Jonathan A. Rodden, professore di scienze politiche presso la Stanford University, in Why Cities Lose: The Deep Roots of the Urban-Rural Political Divide. Rodden si concentra sugli Stati Uniti, ma le sue osservazioni valgono anche per gli altri paesi.
Rodden analizza come il Partito Democratico statunitense sia sempre meno in grado di vincere le elezioni statali o nazionali, anche quando ha la maggioranza dei voti. Il motivo principale è la geografia: il sostegno ai Democratici è concentrato nelle aree urbane, dove i progressisti ottengono una larga maggioranza dei voti “sprecando” così voti in quanto nei collegi uninominali è sufficiente anche solo un voto in più e non è necessaria una grande maggioranza. Fuori dalle grandi città, invece, prendono troppi pochi voti per vincere collegi, sprecando così altri voti.
La concentrazione degli elettori progressisti nelle città è un fenomeno che negli Stati Uniti è in atto da decenni. Già nel 1960 si inizia a vedere una correlazione tra la densità abitativa e i voti ai Dem, ma è nel 2016 che questa relazione è diventata estremamente forte. Rodden identifica varie spiegazioni per questo fenomeno, ma il punto fondamentale è che il Partito Democratico si è trasformato da partito operaio a partito urbano.
Questo è un fenomeno che si è visto anche in Europa e in Italia: nel 2018 il centrosinistra ha battuto il centrodestra solo nei comuni con oltre 300 mila abitanti, mentre in quelli sotto i 15 mila abitanti ha preso meno della metà dei voti.
La geografia politica negli Stati Uniti porta quindi il Partito Democratico a guadagnare troppi voti nei posti sbagliati, dissipando così la propria forza elettorale. I voti del Partito Repubblicano sono invece distribuiti in maniera migliore.
Rodden analizza principalmente gli Stati Uniti, ma il problema geografico riguarda tutti i partiti progressisti, i cui voti sono spazialmente più concentrati di quelli degli avversari. Questo fenomeno è particolarmente evidente nei paesi che, come gli Stati Uniti, utilizzano i collegi uninominali: Australia, Canada e Regno Unito. Anche lì i partiti di sinistra vanno meno al governo, perché la distribuzione dei voti è meno efficiente di quella dei partiti conservatori: ne “sprecano” troppi vincendo con grandi maggioranze nelle aree urbano-industriali e perdendo con margini meno netti quasi ovunque fuori dalle aree urbane.
“La sottorappresentanza della sinistra urbana nelle legislature e nei governi nazionali è una caratteristica fondamentale di tutti i paesi industrializzati che utilizzano sistemi basati sul winner-take-all”, scrive Rodden.
Il problema della concentrazione degli elettori ha iniziato a porsi già dalla fine del XIX secolo. Durante il secolo successivo, i partiti progressisti in molti paesi si sono battuti per promuovere l’adozione di sistemi elettorali proporzionali, dove i seggi in Parlamento sono ripartiti non in base ai collegi, ma alla quota complessiva dei voti a livello regionale o nazionale.
In conclusione, i sistemi uninominali esacerbano il divario politico urbano-rurale, andando tendenzialmente a danneggiare i partiti progressisti che hanno una distribuzione di voti meno efficiente di quella dei partiti conservatori.
Commenta